In Italia ha fatto la sua prima apparizione a Roma e in altre città ieri. C'è troppa gente, dal Popolo viola agli "arrabbiati" di Grillo agli stessi centri sociali, che ha interesse ad accodarsi a una iniziativa che - sotto la spinta della crisi - sta prendendo piede in tanti Paesi, per di più con strutture sociali ed economiche simili alle nostre. La mancanza di leader e di programmi favorisce, in questa fase, la partecipazione di persone di tutti i ceti e di tutte le età: signori e signore radical-chic, giovani disoccupati, studenti senza prospettive, precari frustrati, cassintegrati senza speranza e pensionati ridotti alla fame. Finora gli "indignati" non hanno prodotto programmi costruttivi, ma indicato solo quali sono i nemici da combattere: le banche, gli speculatori, la classe politica, quelli insomma che secondo loro hanno provocato la crisi e ne scaricano il prezzo sugli altri. Ma, a parte la loro evidente connotazione di sinistra, è difficile catalogarli: siamo di fronte a un movimento pacifico sul modello di quello di Bertrand Russell contro la bomba atomica, a potenziali rivoluzionari che si propongono di sovvertire il sistema anche con la violenza, o semplicemente - come ha scritto un opinionista della destra americana - a «professionisti della protesta, nostalgici di Woodstock e vagabondi vari cui nei weekend si unisce qualche esponente della borghesia ultraliberal»? La risposta, ovviamente, varia a seconda delle simpatie politiche. Tuttavia, tra i dimostranti dei vari Paesi, pur mossi da situazioni ed esigenze diverse, c'è un minimo comun denominatore: la rivolta di chi ha perso di più, o crede di avere più da perdere in questa crisi, contro le classi privilegiate che difendono le loro posizioni e spesso detengono una parte sproposita delle ricchezze nazionali; la rivolta di chi ritiene il sistema neo-liberista superato e inadeguato a fronteggiare la crisi; la rivolta di chi non si rassegna a un futuro che a tanti appare senza speranza. Il quadro europeo diventerà forse più chiaro dopo domani, quando una selezione di "indignati" convergerà su Bruxelles da quasi tutti i Paesi della Ue per portarvi le istanze del movimento e contestare la Commissione.
Ora che gli spagnoli si sono quietati e le manifestazioni greche appaiono un po' scontate, l'attenzione è concentrata soprattutto sugli Stati Uniti, dove le marce hanno mobilitato masse che non si vedevano dai tempi della protesta contro la guerra del Vietnam. Chiedono la abolizione della Federal Riserve e della Goldman Sachs, eppure hanno la comprensione di Bernanke e anche del finanziere Soros. Ce l'hanno anche con l'amministrazione Obama, che sicuramente molti di loro hanno votato tre anni fa. Il loro grido di battaglia è «Siamo il 99%», di certo alquanto esagerato, ma Facebook e Twitter fanno miracoli anche in America. Molti vedono negli "indignati" americani la risposta di sinistra ai "Tea Party" ultraliberisti che influenzano il partito repubblicano e prevedono che cercheranno di influenzare la politica del partito democratico, accentuandone le tendenze "socialiste". Per ora una cosa sola è sicura: più la crisi si accentuerà, più le potenzialità di questo movimento diventeranno grandi.
Livio Caputo
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