Cosa è accaduto? Perché il castagno non è più come quello di solo un anno fa, anche se già questa essenza sembrava soffrire di un male endemico? Tutta colpa di un parassita: dicono gli esperti che hanno individuato questo funesto insetto che già a fine primavera si era infilato nei frutti appena formatisi dentro i loro ricci protettivi. Sono minate dal male anche le poche castagne che sono riuscite a svilupparsi. Questo micidiale parassita dicono sia arrivato dall'Asia e si è diffuso in un battibaleno. Pare però che gli specialisti abbiano già trovato un parassita antagonista di questo "mangia castagne" e siano pronti per diffonderlo a largo raggio.
Speriamo che l'antidoto buono riesca a sgominare il rivale cattivo e il castagno torni a sorridere con i suoi fiori, le foglie e i suoi frutti e la gente torni nei boschi a "far castagne". Quel che manca adesso nei boschi è proprio quella consueta e bella cartolina dell'autunno in montagna, con la gente, i bambini garruli e vocianti, bastone e sacchetto in mano, chini sui ricci, a pungersi le dita e a raccogliere quei meravigliosi frutti color marrone scuro che poi, "rosolati" con fatica e destrezza, si trasformavano nelle fumanti caldarroste dette "biröll": sinonimo di "gaudio" e indispensabile sussidio a feste, adunate conviviali, sagre di ogni tipo.
La sofferenza del castagno sembra essere contagiosa. Altre essenze di questi nostri boschi sembrano afflitte: come se nella selva abbia preso ad imperare una sorta di empatia di dimensione vegetale.
Il bosco è così malinconico da far pensare che altri micidiali parassiti, giunti dall'Asia, abbiano cominciato a minare varie essenze. Il caratteristico candore dei tronchi della betulle sembra aver perso lucentezza e non offrire più quell'accattivante contrasto con l'azzurro del cielo contro il quale si staglia. Anche il rosso porpora della rosa canina appare un po' smorto rispetto agli anni scorsi. Forse è soltanto un'impressione ma anche il faggio, il frassino, il carpino non sembrano più godere di quell' aspetto bello che era segno di quella forza capace di resistere e contrastare anche i venti più irruenti e le tempeste più distruttive.
Mi dicono, ancora una volta gli esperti, che un altro micidiale parassita sta falcidiando l'abete rosso. E il danno si vede soprattutto nella pineta dell'Alpe del Vicerè che sarà purtroppo rasa al suolo. Solo il corniolo ed altre poche essenze sembrano godere la salute di un tempo. Ma "ul curnà", come lo chiamavano i vecchi contadini di montagna, è uno dei legni più duri. E' forte come l'acciaio. E' il primo a fiorire nel bosco ancora nel riposo invernale. L'ultimo a far maturare i frutti: bacche dolci, bellissime, che sembrano dei grossi rubini appesi ai rami tra le foglie di un bel verde oliva.
Per ritirarmi un po' su il morale sono dunque andato a cercare il corniolo che ormai è piuttosto raro nei boschi delle nostre montagne e difficile da individuare. L'ho trovato in Valle Bova, che gli antichi chiamavano "Valle di Caino" per la sua asprezza, dove, sapevo, esiste una presenza ancora consistente di questa essenza. Ho ritrovato le bacche in piena maturazione. Parevano proprio rubini che splendevano ai raggi del sole. Il corniolo sembrava quindi ancora sorridere tra la malinconia dei castagni malati. E mi sono detto: «Questo di sicuro se ne fa uno sberleffo del parassita cinese, per fortuna».
Emilio Magni
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