E' finita come spesso finisce in Italia: nel tragico e nel ridicolo insieme, ovvero nel vergognoso limbo ben descritto dalla maschera di Pulcinella, in grado di scivolare, senza soluzione di continuità, dal riso irrefrenabile al pianto disperato. È finita che tra i botti delle bombe carta, le sirene della Polizia e lo schioccare dei sampietrini non si è sentito nulla di quello che si doveva sentire. È finita con gli indignati divenuti indignanti: grazie a quei pochi o tanti in vena di violenza, l'indignazione è infatti passata di mano e l'establishment si è ritrovato beneficiato da un'inaspettata grazia, catapultato dalla difesa all'accusa, dal ruolo di imputato a quello di accusatore, da colpevole a vittima.
È finita così perché in Italia c'è un modo irrisolto, quando non canagliesco, di esprimere le proprie ragioni, o di attaccarsi da parassiti a quelle degli altri, e c'è una vigliacchissima tendenza a perdere se stessi nella folla, nel convogliarle frustrazioni e ignoranza, nell'affidarle stupidità e infantilismo.
Così, mentre in tutto il mondo le manifestazioni consentivano di capire qualcosa in più del fenomeno "indignati", il pasticcio di Roma faceva in modo che da noi si capisse qualcosa in meno, che il messaggio teoricamente affidato alla piazza finisse sovrastato dal coro e dal controcoro di accuse e insinuazioni: «Colpa vostra, dissociatevi»; «No, colpa vostra: giustificatevi». Nel bailamme, l'hanno fatta franca quelli che, dall'indignazione, erano indicati come coloro che avrebbero dovuto farsi da parte per restituire alla società un poco di decoro e di giustizia: la casta dei politici, le cui logiche predatorie sempre più spesso si dimostrano sfacciate, la finanza con i suoi meccanismi cervellotici e disumani, e l'economia, sempre sbrigativa nel reclamare il dovuto senza alcun riguardo per le sofferenze individuali.
Per un momento è sembrato che, anche in Italia, le ragioni semplici della gente, stanca di pagare un conto troppo alto e largamente incomprensibile, potessero finalmente farsi ascoltare, venire alla superficie in modo chiaro e organico oltre che, come doveroso, civile e legale. Niente da fare: come si diceva, a Roma è finita in dramma e in commedia, in farsa e in tragedia. Chissà che sospiro di sollievo avranno tirato quei signori che avevano incominciato la giornata da briganti e l'hanno finita da galantuomini, che temevano di essere smascherati per bricconi e, in serata, si sono riscoperti guardiani della civiltà e del rigore. Un sospiro notevole, diremmo, liberatorio, almeno a giudicare dal vigore con cui hanno censurato, condannato, accusato e, con tutta la vitalità di chi l'ha scampata bella, inchiodato la bara degli "indignati" italiani, alla fine incapaci di tradurre un sentimento universale di insofferenza in qualcosa di concreto e organico. No, qui la discussione deve per forza tracimare nel sangue, il dibattito concludersi al pronto soccorso e il fermento sociale farsi dominare dalla cecità ultras e dall'autoritarismo caporalesco.
Finite le sassate e gli assalti, concluse le cariche e i pestaggi, speriamo ci sia tempo oggi per una riflessione che non sia all'insegna del patetico tornaconto di bottega ma tocchi qualche elemento più significativo e profondo. Cerchiamo insomma di trarre qualche utile insegnamento da quanto accaduto. Pensiamoci, almeno per qualche ora. Tanto poi ci sarà Lazio-Roma.
Mario Schiani
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