Ci siamo giocati anche l'ultimo amico che avevamo, Gianluca Zambrotta. Che ieri pomeriggio, all'inaugurazione della piccola pista da sci donata gratis et amore dei ai comaschi, si è incredibilmente aperto, raccontando una storia che dice molto del posto in cui viviamo, di questa strana capitale dell'assurdo in cui la realtà è sempre tre giri più avanti della fantasia, nascosta in un posto in cui anche il migliore cantastorie faticherebbe ad approdare.
Dunque: Zambrotta dice che non ne può più. Che vada per la pista da sci, già organizzata da tempo, ma che non vede l'ora di togliersi di torno, lui, il suo staff, la sua Young boys, la sua erba sintetica. Il motivo? In quattro mesi di permanenza, non uno - il sindaco, un assessore, l'ultimo dei consiglieri comunali, uno straccio di funzionario - non uno che gli abbia sussurrato mezzo grazie per averci in fondo consentito di trascorrere un'estate in riva al lago e non di fronte alla solita palizzata, aperitivo di un muro che, per fortuna (e per puro caso), non costruiranno più.
Non uno che gli abbia chiesto se avesse bisogno di qualcosa, una mano per pulire, un aiutino per aggiustare, magari per sostituire qualche fiorellino, o se non proprio per rendere ancora più bello il suo piccolo parco estivo.
Possibile? Possibile eccome, possibile nonostante le dietrologie e i ghirigori che tutti noi - compreso chi scrive - avevamo tessuto attorno a una operazione troppo generosa per non nascondere chissà quale quadruplo fine, quale trama, quale mefistofelico disegno.
E invece no, Zambrotta il suo parco Zambro lo voleva regalare davvero, così, solo per il gusto di dare una mano a una città e a una amministrazione che, a questo punto, non meritano davvero nulla. Perché tutto è consentito: sciatteria, approssimazione, superficialità, vanagloria - di cui a Palazzo Cernezzi abbondano -, sfortuna (si, valà, mettiamoci anche un po' di jella, in questa storia delle paratie, ché non s'erano mai visti tiranti che si slacciano e scalinate che crollano) ma la maleducazione, quella, no.
Un grazie a Zambrotta lo avremmo dovuto tutti, politici e cittadini, della Juve, del Milan o dell'Inter. Un grazie per averci ricordato che l'unico modo di fare le cose è farle, ma anche per averci ricordato che si può ancora dare per il piacere di donare. Non averlo colto è allarmante, più di quanto non lo sia l'impressionante serie di disfatte amministrative inanellate negli ultimi anni: significa che ci siamo imbruttiti, ingrigiti, erosi, ed è un peccato.
Lo è non tanto per i destini di questa città di cui il mondo potrebbe fare serenamente a meno (si, vabbé, lake Como e Lariowood e Clooney e i turisti giapponesi... troverebbero tutti senz'altro di meglio) ma per noi, che a questo punto dovremmo cercare di essere chiari. E prendere le distanze. Per spiegare che con questa gente non possiamo più avere nulla a che fare, e che non è questione di partiti politici. È questione di facce, di buone maniere, di un bonton imprescindibile. Loro non sono noi. Sia chiaro a tutti, una volta per tutte.
Stefano Ferrari
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