A dividere Silvio Berlusconi e Umberto Bossi non è solo una cifra anagrafica su come si può andare in pensione. Vi è invece una intera visione della società, come gestirla e addirittura costruirla. Può sembrare esagerata questa sintetica analisi, ma c'è una frase di ieri del capo padano che ci deve fare riflettere: se blocchiamo le pensioni "la gente ci ammazza".
Ecco, ritorna per un giorno il guizzo del vecchio Bossi, quello che prima della malattia inchiodava l'intero palazzo romano con una risposta, sferzante ma che spiegava tutto. Cioè, come amava ripetere, coglieva "l'idem sentire" non solo del suo popolo, quello del nord. Il cavaliere invece, anche in questa partita europea, si dimostra alternativo al vecchio Bossi, quello che saliva su e giù per le valli a predicare il credo padano. Silvio Berlusconi, preso atto a malincuore dei numeri presentatigli da Bruxelles, è tornato a Roma e da "uomo del fare" avrebbe voluto chiudere la partita sulle pensioni già lunedì pomeriggio. Egli ha sempre operato così, per l'immediato, da imprenditore, senza farsi distrarre dalla storia: l'economia lo chiede ed è giusto rispondere al mercato con i tempi di un'azienda.
Umberto Bossi invece, non dimentica che il suo progetto storico cammina nel quotidiano, giorno dopo giorno. Gli stessi tempi, lunghi, con cui ogni lavoratore si costruisce la sua pensione: quarant'anni di lavoro. La sua Lega, ricordiamocelo sempre, è partita nel 1979, da Capolago, una frazione di Varese. Oggi è a Palazzo Chigi ma il federalismo fiscale non è ancora arrivato. Dunque, come si può chiedergli, in settantadue ore, di cancellare una pensione costruita da un operaio che ogni mattina si è alzato all'alba per andare a lavorare? Di più. Tutti dimenticano il rigetto del senatùr verso l'Europa. Ricordate la Lega in piazza contro "Forcoloandia"? Contro Romano Prodi e la sua tassa per entrare nella UE? Un ideale anti-europeista nato dalla sua convinzione, confermata dalla famosa lettera-dickat della BCE, che "l'Europa non unisce ma cancella la storia dei popoli".
A mettere il sigillo sul braccio di ferro con il premier e Bruxelles vi è poi una statistica non irrilevante: quasi sette pensioni di anzianità su dieci sono di lavoratori che abitano da Torino a Venezia, il territorio elettorale del Carroccio. Se alla visione della storia dei popoli aggiungiamo anche questo dato, possiamo capire meglio la difesa in atto da parte di Umberto Bossi di un blocco sociale: dagli operai ai lavoratori dipendenti della fascia settentrionale del Paese.
A questa analisi, va aggiunto un particolare, accaduto in piena estate, durante una delle tradizionali feste leghiste. Lo scenario in terra bresciana, Manerbio. Qui dopo un comizio, Umberto Bossi viene bloccato da un militante che a mani giunte gli chiede di non toccare la sua pensione. "Io lavoro da 42 anni, ho cominciato quando ne avevo 14…perché devo lavorare ancora…?". Una frase sincera, salita dalla voce di quel popolo che in queste ore il capo padano ha bene in testa mentre decide le sorti del governo.
Ecco, la divisione sull'età pensionabile tra il cavaliere e il leader leghista non è sulla strategia, ma è più profonda, è fondata su due visioni alternative per realizzare il proprio progetto politico. Dall'uomo del fare all'uomo che si da paladino della storia di un popolo.
Alessandro Casarin
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