Uno Stato più leggero
per uscire dal baratro

  La decisione di George Papandreou di convocare un referendum sulle riforme chieste da Bruxelles ha finito per far precipitare la già precaria situazione italiana. Per giunta, le difficoltà connesse a un debito fuori controllo e a una rapacità del fisco senza eguali sono ormai amplificate da una crescente delegittimazione del ceto politico che ricorda sempre più i primi anni Novanta. Ormai la Seconda Repubblica pare agli sgoccioli, dato che non ha saputo imboccare la strada della responsabilità, della competizione e del merito. Lo "spread" che penalizza sempre di più alto il nostro debito è solo la sintesi di tale dissesto.
In queste ore di fitti incontri tra il presidente Giorgio Napolitano e i vari gruppi politici, è difficile capire se ne usciremo. Le cose che andrebbero fatte al più presto, infatti, non sono in cima all'agenda. Mentre sarebbe necessario dare un segnale positivo alla parte produttiva del Paese, tagliando le uscite e riducendo la sfera d'intervento dello Stato (con le privatizzazioni), ci si sta orientando verso ulteriori prelievi. In questi giorni un'Italia che va morendo a causa di un eccesso di imposte e spesa pubblica non ha saputo immaginare altro che prelievi forzosi sui conti correnti, imposte patrimoniali, condoni, nuove guerre all'evasione. Lo Stato esige ormai dosi crescenti di risorse e questo può solo compromettere una situazione già disperata.
Per giunta, l'opposizione sembra immaginare soluzioni miracolistiche, opponendosi a ogni ipotesi sensata (come quella d'introdurre flessibilità nel mondo del lavoro) e lasciando credere che basti allontanare i Cattivi e fare spazio ai Buoni per risolvere tutto. Oppure che sia sufficiente colpire la Casta, eliminare il conflitto d'interessi, e via dicendo. Ma non è così.
Perché in realtà bisogna finirla con il parastato e colpire i privilegi delle corporazioni, abolendo gli ordini e liberalizzando davvero l'economia: a 360 gradi. E più in generale deve essere chiaro che l'Italia può uscire dal tunnel solo se il privato torna a fare profitti. Anche ieri Bankitalia, ora guidata da Ignazio Visco, ha ricordato che il primo problema della nostra economia è la bassa crescita, ma questo significa che il settore pubblico va chiamato a fare la sua parte, dato che pesa come un macigno sulle imprese. Se David Cameron ha avviato un piano per ridurre di 500 mila unità il numero di quanti lavorano nello Stato, perché noi non facciamo nulla? E perché si accetta l'idea che migliaia di operai del privato perdano il lavoro (spesso senza alcun tipo di ammortizzatore sociale), mentre l'ipotesi di eliminare la tredicesima degli statali è stata subito abbandonata?
Il resto è politichese e non serve. L'Italia può andare a fondo avendo il Cavaliere a Palazzo Chigi o un qualunque Mario Monti, nemmeno mai votato dai cittadini. È probabile che Silvio Berlusconi non sia più credibile, dato che per anni non ha mai fatto seguire alle parole i fatti, ma il punto vero è che c'è soprattutto bisogno di scelte impopolari, che colpiscano il blocco sociale della spesa pubblica e mandino un segnale positivo a quanti, con fatica, continuano a tenere in piedi la baracca.
Carlo Lottieri

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