Piedi asciutti
ma testa nel fango

Alla fine la città di Como avrà i piedi asciutti ma la testa sommersa dal fango. In questi giorni fradici di pioggia e lacrime, per le vittime di Genova, le ferite di un territorio maltrattato e sfruttato tornano - con la prepotenza di piccole rogge trasformate all'improvviso in poderose cascate - d'attualità. E, con loro, i quesiti su come preservarci dalle tragedie da maltempo, che tutto sono tranne che imprevedibili.
Oggi, ad esempio, raccogliamo la denuncia e lo sfogo degli abitanti di via Pannilani, a Como. Hanno case con vista sul Cosia e sono preoccupati perché, affermano, il corso del torrente non viene dragato, né ripulito da piante e foglie, e spesso è scambiato da cittadini irresponsabili per una discarica. E poi diamo atto delle parole di un geologo che racconta di incuria e di una sistematica impreparazione ad affrontare gli inevitabili acquazzoni che, periodicamente, si abbattono sulle nostre teste. Catastrofisti? Uccelli del malaugurio? Novelli Maya che vaticinano la fine del mondo per il gusto di fare audience? La cronaca, ma anche la storia, ci dicono di no. Ricorrono proprio in queste settimane le angoscianti e drammatiche ore dell'alluvione di Tavernerio di 60 anni fa. E sono ancora davanti ai nostri occhi le devastanti immagini della frana di Brienno di pochi mesi or sono. Nella nostra provincia, secondo la Protezione civile, sono oltre mille i punti a rischio di dissesto idrogeologico: zone in parte già ferite nel passato, in parte abbandonate a se stesse.
Dopo l'alluvione in Valtellina dell'87 lo Stato aveva varato una legge per finanziare quegli interventi utili a scongiurare il ripetersi, in futuro, di simili catastrofi. Como ha giocato il suo jolly scegliendo di utilizzare quei fondi per il progetto paratie, ovvero per impedire una volta per tutte alle acque del lago di esondare e invadere la piazza.
Un evento indubbiamente problematico, quello delle esondazioni, ma certo - fosse possibile fare una graduatoria della gravità - tra i meno devastanti legati alle conseguenze del maltempo. Anche perché il denaro già tracimato dalle povere casse pubbliche ha superato le più fosche previsioni. E, con il senno del poi (ma neppure troppo), verrebbe da pensare che con quei soldi si sarebbe potuto fare ben altro.
Nel tifare senza riserve perché questa ondata di maltempo si allontani senza far danni, non c'è però consentito di passare sotto silenzio gli allarmi e le preoccupazioni per pericoli che restano attuali e reali, anche quando non si tramutano in tragedie. Ché non c'è bisogno di aspettare il morto per comprendere che è necessario alzare la soglia di attenzione. Dicendo basta alla proliferazione di cemento senza regole, piantandola di considerare il territorio come una nostra personalissima discarica, impegnandosi nella segnalazione di situazioni potenzialmente a rischio.
La scusa dell'imprevedibilità non regge davvero più. In un Paese che sa rendersi conto dei problemi solo quando scoppia un'emergenza, si sente il bisogno di assaporare il gusto di una cura e di un'attenzione quotidiana perché l'imponderabile non avvenga. Magari investendo soldi per il dragaggio di fiumi e torrenti, per il controllo delle zone montane, per il monitoraggio delle aree a rischio e non per far fronte a un progetto che ha sempre più il sapore di un ritocco al look del lungolago, piuttosto che a un serio intervento per arginare la furia degli elementi. Solo così si può sperare di evitare una città invasa dal fango, pur con i piedi all'asciutto.
Paolo Moretti

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