Il Pd, la piazza piena e il rischio urna vuota

A loro il profumo della vittoria fa un po' l'effetto di quello del sangue agli squali. Cominciano ad azzannare all'impazzata, anzi ad azzannarsi a vicenda. Sono gli allegri compari del Pd che neppure possono godersi la botta di fortuna di una piazza piena per una manifestazione programmata mesi fa e caduta proprio quando la maggioranza di governo sembra ridotta a un frollino inzuppato nel latte bollente. Perché, proprio in piazza scoppia (anzi ristoppia, tris coppia) il caso Renzi. Il preteso giovane, anche se fa politica da una vita e già ha avuto le sue transumanze, è stato contestato dai militanti. Qualcuno pensa a un agguato organizzato.
Al di là del tempismo di Renzi che vuole rottamare in un momento in cui c'è bisogno soprattutto di costruire e del sospetto di trovarsi di fronte a una sorta di Veltroni (un mostro metà Uolter e metà Silvio), la piazza romana lascia dietro di sé i cascami di uno scontro che rischia di condizionare in maniera decisiva le sorti del principale partito di opposizione, oggi maggioranza nel paese più per demeriti altrui che per proprie virtù.
Se Berlusconi ha ancora un lumicino di speranza, infatti, lo si deve proprio alle dinamiche interne del Pd. L'arma della disperazione, la V3 del Cavaliere per restare in sella, sono le elezioni anticipate. Ecco perché, nonostante gli inviti dei consiglieri più fidati, il premier non ha intenzione di mollare il cadreghino. Sa che non esistono le condizioni politiche per un governo tecnico e tantomeno per quel patto tra progressisti e moderati (più calano le quotazioni di Berlusconi più Casini pende a destra) invocato da Bersani. Allora - è questo il progetto del presidente del Consiglio - mi sfiducino e si torni alle urne con questa legge e un Pd già diviso destinato ad accentuare le spaccature nell'imminenza di un voto.
Le differenze all'interno del masochistico partito di Bersani & C. non sono sole legate al conflitto generazionale ma si allargano alle ricette per uscire dalla crisi (non a caso l'unico input arrivato finora dal Pd è «Berlusconi a casa») e alle alleanze. La colpa è di tutti e di nessuno. Perché l'entropia politica sembra essere innestata nel Dna di tutti i partiti sbocciati dopo la fine del Pci e, di conseguenza, del centralismo democratico.
Se il Pd ambisce a contribuire alla riscossa del paese in uno dei momenti più cupi della storia italiana, farebbe bene a fare tesoro delle tante prediche inutili di Napolitano sulla necessità di mettere da parte le divisioni in nome dell'interesse comune.
Anche Renzi se ne faccia una ragione. Se è giovane, come pretende di essere, abbia pazienza e porti la sua razione d'acqua al mulino della causa. In futuro, magari, arriverà il suo terno. E lo stesso Bersani lasci da parte le battute (sono tempi di cose serie) e metta in campo delle proposte concrete anche se impopolari per uscire dal pantano. Pazienza se rimarrà qualche schizzo di fango. La piazza radunatasi sabato scorso non si accontenterà degli slogan. E qualcuno farebbe meglio a rammentare la vecchia massima di Pietro Nenni sulle piazze piene e le urne vuote.

Francesco Angelini

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