E adesso? È la domanda che corre nei bar, sugli autobus, nelle famiglie, nei ristoranti strapieni in uno di quei momenti in cui l'Italia discute più di politica che non delle convocazioni di Prandelli.
Ma in questa Italia dello spread che ha materializzato il fantasma di quota 500 additata da Emma Marcegaglia come linea oltre il Piave, del doman non vi è certezza.
Non ne ha più neppure Silvio Berlusconi se è vero che prima di incassare lo schiaffone sul rendiconto si faceva passare tra le dita un pizzino con indicate tutte le ipotesi: dimissioni, reincarico, governo tecnico, governo Letta... La crisi politica che si è aperta di fatto ieri, che si aprirà formalmente con le dimissioni del premier dopo il voto sulla legge di stabilità è una crisi al buio pesto. L'unico che può accendere la luce è Giorgio Napolitano.
(...) Ma non sarà facile trovare l'interruttore. Se il calendario della maggioranza è ormai bloccato sulla data dell'8 settembre, anche le idee dell'opposizione non sono chiarissime. C'è chi vuole andare al voto perché capisce che ci guadagnerebbe, chi punta al governo tecnico per rifiatare e chi si accontenterebbe di vedere magari Gianni Letta al posto del Cavaliere, che peraltro ha intenzione di giocare la sua partita anche dopo le dimissioni.
Tutte soluzioni, elezioni comprese, che appaiono non adeguate. Palliativi. Aspirine somministrate a un malato terminale.
Perché proprio mentre andava in scena lo psicodramma dell'amletico Cavaliere le agenzie battevano la notizia sulle preoccupazioni del commissario europeo agli Affari Economici, Olli Renh sugli spread italiani unite all'invito rivolto a qualunque governo a fare il prima possibile le riforme che rassicurino i mercati. Un invito perentorio: la casa brucia, fermate il teatrino della politica. Lo stesso che Berlusconi ha sempre deprecato e di cui invece si picca ora ad essere il principale attore. Le parole di Renh facevano cadere anche tutte le illusioni di quelli che, parlando della Grecia, fino a ieri si toccavano con il gomito per garantire con i sorrisetti di sufficienza che «mica potremo fare quella fine noi».
E invece, oggi, siamo messi anche peggio dei cugini poveri di Atene. Altro che una "facia una raza". ,Almeno sotto il profilo politico, sotto il Partenone si sono dati una mossa. Hanno cambiato il premier senza tragedie (e dire che le hanno inventate loro) e tutti i partiti si sono messi insieme per rimboccarsi le maniche e tirare fuori il paese dal pantano.
Da noi, invece, a parte gli angeli del fango in azione nelle zone colpite dal maltempo, si rimane impantanati. L'Europa, di fronte all'ennesimo minuetto, ha perso la pazienza. L'impennata dello spread significa che la Bce ha fermato gli interventi di sostegno al nostro debito. Dovete uscire dall'impasse politico, ha sintetizzato il commissario europeo. E adesso solo questo conta.
È il momento della responsabilità, un concetto quasi sconosciuto nella politica italiana dove c'è la ressa solo al momento di ricevere le prebende.
Berlusconi ha annunciato - meglio tardi che mai - un gesto di responsabilità dopo aver preso atto che i topi avevano abbandonato la nave. Ce ne vorranno molti altri. Compresi quelli di chi dovrà ereditare il frutto amaro lasciato da questo governo dissennato: l'imperativo di provvedimenti draconiani e impopolari. Che, si sa, non portano voti.
Francesco Angelini
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