Abolire i privilegi o sarà un disastro

La tempesta finanziaria che ha investito l'Italia e ha preso di mira il debito pubblico (con gli interessi sui Btp ormai al di sopra del 7%) non può essere addebitata alla cattiva sorte o agli speculatori, e neppure soltanto a chi ha governato in questi ultimi anni il Paese: anche se Silvio Berlusconi  e il super-ministro Giulio Tremonti hanno certo le loro responsabilità. Il disastro è però figlio dell'intera storia italiana del dopoguerra, ossia di quella cultura assistenziale all'origine di un debito pubblico che, ora, minaccia il nostro presente e ancor più il futuro. È evidente che molte colpe sono da addebitarsi ai politici di professione (di livello nazionale e locale), ma non si pensi che processare la Casta basti ad assolvere il resto della società.
Per decenni, in nome di una malintesa idea di "solidarietà", si sono elargiti fondi in quantità al Mezzogiorno, regalati immensi capitali alle grandi imprese, attribuiti privilegi al Trentino e alle altre regioni autonome, mandati in pensione lavoratori statali dopo meno di sedici anni di contribuzioni, tenuti in vita monopoli pubblici improduttivi e fuori mercato (dalle poste alla ferrovie). Quasi ogni gruppo organizzato che promettesse sostegno elettorale ha ricevuto la sua quota di privilegi: i sindacati come i notai, i farmacisti come i costruttori edili, i agricoltori come i commercianti.
Il risultato è che il debito ormai si avvicina ai due mila miliardi di euro e assorbe una quota sempre più alta della spesa. Le imprese e le famiglie sono tassate per finanziare in primo luogo quanti possiedono i Btp, e non già per far funzionare la giustizia, costruire le strade, retribuire medici e insegnanti. In questa situazione il rischio è quello di replicare il "caso greco", trovandoci presto a dover tagliare del  50%, o giù di lì, i salari del settore pubblico.
Ciò che in queste ore convulse la politica saprà inventarsi per uscire dal caos è importante. E non è facile sapere se - non nell'interesse di una parte, ma i quello degli italiani - sia meglio un governo con una larga maggioranza che fronteggi l'emergenza o andare immediatamente al voto. È una decisione che assumerà il presidente Giorgio Napolitano, valutando la situazione nel suo insieme.
Quale che sia il nuovo governo che si troverà a gestire l'Italia nel prossimo futuro, è però evidente che ora bisogna sconfiggere la spesa: e ci vorrà molto più di quanto non includa il maxi emendamento. Sicuramente non abbiamo bisogno di nuovi populisti che chiedano altre tasse (a partire dalla patrimoniale) o dell'ennesima crociata contro gli evasori: tanto più che siamo già al terzo posto nella speciale classifica mondiale riguardante la pressione fiscale.
Serve, invece, il coraggio di tagliare le uscite ed eliminare i privilegi di quanti vivono fuori dalle logiche di mercato. È questa zavorra che sta facendo affondare un'economia la quale, al suo interno, contiene pure realtà produttive di valore. Bisogna sconfiggere la Casta, certo, ma soprattutto bisogna eliminare la rete di clientele e benefici illegittimi cresciuta attorno alla funzione pubblica, alla spesa di Stato, al sistema delle regolamentazioni.

Carlo Lottieri

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