Alla fine l'hanno capita (quasi) tutti che l'unica alternativa a Monti erano i monti di pietà. Ma anche in questa fase di estremo dramma il nostro ceto politico è riuscito a dare il meglio di sé, cioè il peggio. C'è voluto il pugno sul tavolo di Napolitano che ha dovuto estendere al massimo l'elastico di potere presidenziale che i previdenti padri della Costituzione hanno inserito nella Carta, per dire stop.
Il maglio di un Gulliver tra lillipuziani statisti da bar sport che brigavano, tramavano si affannano il nome dell'unico interesse che conti davvero per loro. Quello di bottega. Mentre la Borsa trascinava in un gorgo i risparmi di tante famiglie e i capitali di parecchi imprese e lo spread veleggiava piratescamente verso quota 600 spinto dal vento delle dimissioni omeopatiche del Cavaliere tutti erano in altre faccende affaccendati.
Spuntavano gli scajoliani, truppe cammellate con alla testa l'ex ministro noto per la gentile commemorazione di Marco Biagi e per la casa pagata da altri a sua insaputa. Con l'Italia nelle mani di Scajola e della soubrette prestata alla politica (qualcuno la restituisca) Gabriella Carlucci si potevano sentire anche da lontano i rumori dei tappi di champagne che saltavano nei quartieri generali degli speculatori.
Votare o non votare? Questa era il dilemma. Si decidesse pure con calma, sono scelte da ponderare. Sempre per il bene del paese. E Berlusconi che si fregava le mani. L'unica sua bombola di ossigeno era il tempo, giusto quello necessario per fare la spesa e riempire il carrello di tanti aspiranti Scilipoti. Nobili le considerazioni che portavano tanti pidiellini a dire no alle urne invernali. Con questa legge canagliesca sarebbe stato Alfano insieme al Cav a decidere gli eletti e fare carne di porco degli oppositori interni. Stessi alti pensieri frullavano nelle menti di Bossi e Calderoli (il dottor Stranamore artefice della peggior riforme elettorale dai tempi dell'Ordalia) che si attestavano invece sulla ridotta del voto ad ogni costo.
Il Pd intanto privato della sua arma più potente - la richiesta di dimissioni del Berlusca - si struggeva. Votare subito o attendere così da far cuocere Bersani al punto giusto e sbranarlo quando sarà ora di scegliere il candidato premier. Questioni esiziali, da statisti. Come Di Pietro che pur di far dispetto alla moglie si taglierebbe i santissimi e finisce per schierarsi sulla sponda del Cavaliere a favore di un voto che ingrasserebbe l'Italia dei Valori.
Un'urna troppo stretta per il terzo Polo. Almeno finché ci saranno i primi due. E allora perché mai Casini, che oltretutto per ambire al Quirinale, ha l'obbligo di travestirsi da Cavour, dovrebbe rinunciare a un bel governo di decantazione magari con una manciata di poltroncine da gettare in pasto ai suoi famelici sodali?
L'unico a restare fermo era Fini. Ma si sa, il ragazzo ha i suoi tempi di reazione. Se così non fosse, di Berlusconi ci saremmo liberati già da un anno.
Ben venga Monti, perciò. Ma non c'è da invidiarlo. Noi siamo pronti a porgere il braccio a farci cavare sangue per la patria. Ma la minestra, il novello senatore a vita, dovrà cucinarla con questi ingredienti. Cioè con questi politici. Sarà una ministra di zucca, oltretutto è la stagione. Ma anche con la bacchetta magica è dura trasformare le zucche in statisti.
Francesco Angelini
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