Non sono mago Merlino». Con queste parole, un anno fa, il sindaco di Como, Stefano Bruni avviava in consiglio comunale la sua arringa di difesa durante la discussione della mozione di sfiducia. Era la notte tra il 14 e il 15 novembre, quando il consiglio gli concesse (con l'astensione del gruppo di Autonomia Liberale che, dopo la clamorosa virata in aula di Buono, Arcellaschi e Pastore, non aveva più i numeri per poter far cadere l'amministrazione e che in cambio aveva ottenuto un risparmio su compensi, portavoce e attività di comunicazione pari a 200mila euro) i tempi supplementari.
Non era stato sfiduciato (secondo la legge i «sì» avrebbero dovuto essere 21, invece ci si fermò a 14 con 8 astenuti e un assente), ma i numeri impietosamente fotografavano la realtà. Poteva contare sul sostegno di 18 voti compreso il suo (la maggioranza, a Palazzo Cernezzi, è di 21). Poco dopo le due del mattino di quel freddo 15 novembre, il sindaco sopravvissuto aveva dichiarato: «Si riprende a lavorare, anche se non io non ho mai smesso. Serve un cambio di marcia e in una settimana avvierò consultazioni con tutte le formazioni del consiglio comunale, partendo dalla maggioranza e arrivando alle opposizioni».
Un'apertura dettata dalla consapevolezza di non avere i numeri per governare. In pratica la stessa situazione in cui si è trovato Berlusconi una manciata di giorni fa e che, a differenza di Bruni, ha optato - più o meno costretto - per il passo indietro.
Ai cittadini comaschi, però, i numeri, le strategie e i giochi di palazzo interessano poco. La domanda è, esattamente dodici mesi dopo, una sola: c'è stato il cambio di marcia? La risposta, purtroppo, è una soltanto. No. I temi sul tavolo sono gli stessi. Il nodo Ticosa non ha fatto alcun passo in avanti, se non l'avvio della bonifica del sottosuolo (con annesse polemiche, visto che non vengono garantiti nemmeno i posti auto). Il destino dell'area finirà sull'agenda del prossimo sindaco, che si troverà però con le mani legate e impastoiato in una causa giudiziaria con la società Multi (si era aggiudicata l'acquisto dell'area) dagli esiti imprevedibili nei costi e nei tempi e senza aver ricavato un euro da quella che, stando al programma elettorale con cui Bruni vinse nel 2007, è «un'operazione da manuale».
La ferita al cuore di Como, quella sul lungolago, sanguina ancora. Il cantiere, nonostante le promesse e gli annunci, è ancora fermo. La data di conclusione, le modalità e i costi sono un enorme punto di domanda. Inutile dire che di campus, metrotranvia e Borgovico bis non si è più nemmeno parlato e pure la cittadella dello sport di Muggiò è al palo.
Nel concedere i tempi supplementari, un anno fa, in molti si aspettavano uno scatto d'orgoglio. Invece ci sono stati anche i calci di rigore e nemmeno un gol. In dodici mesi l'amministrazione ha alzato soltanto una serie di bandiere bianche: sul bilancio, sulla gestione del patrimonio (dai garage agli appartamenti gestiti non si sa come e con migliaia di euro buttati al vento) e perfino sugli asfalti, non avviando nemmeno il piano di asfaltature estive.
«Sono fiducioso che l'astensione possa diventare una fiducia piena», aveva detto ancora Bruni quella notte di novembre 2010. I numeri - o meglio la non maggioranza - sono rimasti gli stessi di allora solo grazie a qualche ulteriore giravolta di consiglieri comunali (due tasti bianchi sono diventati verdi, ma tre sono diventati rossi fissi dal bilancio a oggi). Il consiglio si riunisce senza discutere temi importanti o qualificanti e l'intenzione è quella di lasciar scorrere il calendario fino a maggio. E al libro dei sogni Bruni dovrà aggiungere altri due punti: il cambio di marcia e lo scatto d'orgoglio.
Gisella Roncoroni
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