Giovedì gli studenti hanno invaso Milano, in protesta contro «Monti e le banche». Qualche buontempone su Internet ha ribattezzato il governo «un esecutivo di larga Intesa», scritto maiuscolo e al singolare: perché ne fanno parte l'amministratore delegato della banca, Corrado Passera, e una vicepresidente, l'economista Elsa Fornero, del resto immediatamente dimessisi.
L'idea di qualche cospirazione sotterranea che orienta il corso degli eventi è sempre seducente. Ma è davvero surreale immaginare che ci sia stato una sorta di “opa” sul governo da parte della “banca di sistema”. Ciò che invece surreale non è è interrogarsi, laicamente, sui reali conflitti d'interessi in capo agli esponenti della squadra di Monti.
Per anni abbiamo considerato il conflitto d'interessi un marchio di Silvio Berlusconi. Ma il conflitto d'interessi in capo all'ex premier era, se non altro, palese. Persino il più distratto degli elettori sapeva che il deus ex machina della coalizione di centro-destra era il proprietario di Mediaset e Mondadori. Era sicuramente anomalo, un caso unico in Occidente, che un grande editore partecipasse direttamente alla vita pubblica, e ne menasse le danze per un ventennio. Eppure, paradossalmente, la visibilità del conflitto d'interessi faceva sì che opposizione e media potessero monitorare e documentare gli eventuali abusi di potere del premier con una certa facilità.
In realtà, è piuttosto normale che chiunque accede alla vita politica abbia interessi e amicizie, che possono se non orientarne, condizionarne l'operato. Il caso dell'amministratore delegato di Intesa San Paolo è particolarmente significativo. Manager di straordinaria abilità, proprio per quello Corrado Passera conosce benissimo, dall'interno, un'importante azienda pubblica, cioè Poste Italiane; ha avuto parte importante nella privatizzazione di Alitalia sotto il precedente governo; ha sostenuto il decollo di un “new comer” dell'alta velocità ferroviaria, Ntv, al cui arrivo sul mercato del trasporto passeggeri assisterà da ministro; ha familiarità dall'interno con aziende come Telecom; conosce benissimo la Cassa Depositi e Prestiti, partecipata da un suo ex azionista. È normale che uno dei maggiori banchieri del Paese sia al centro di una trama di relazioni e affari così fitta: ma saprà liberarsene, da ministro, per fare solo l'interesse del Paese?
Ahinoi, è abbastanza facile definire che cosa vada nell'interesse di una banca o di una impresa, meno cosa sia nell'interesse di tutto un Paese. Come fare a garantire l'imparzialità di un ministro? Nel medio termine, bisogna ridurre le funzioni dello Stato, e quindi anche dei ministri. Il conflitto d'interessi è una questione pressante perché, lo Stato italiano facendo tanto, può anche fare tanto a beneficio di questa o quell'impresa. Purtroppo i poteri pubblici possono interferire nella gara economica, scegliendo vincitori e vinti. È questo che andrebbe evitato.
È possibile costringere gli esponenti politici a “dichiarare” i propri conflitti d'interessi fino alla nausea, ma, proprio perché il bene collettivo è un concetto vaporoso mentre il bene delle singole realtà è ben più facile da mettere a fuoco, le prese d'atto formali non bastano. È una partita che ciascun ministro giocherà con la sua coscienza. Ma soprattutto sta all'opinione pubblica vigilare attentamente. Dando prova di considerare il conflitto d'interesse una questione seria, anche adesso che non riguarda più il Cavaliere.
Alberto Mingardi
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