Meglio lardo e fagioli in pace che dolci e marmellata nell'angoscia» diceva il topo di campagna al topo di città nella favola di Esopo, «ma vah, forse una volta. Adesso qui si può mangiare senza angoscia, a volte anche i resti del pranzo dei turisti e delle merendine dei bambini» diceva ieri il topo di piazza Cavour a Como al topo di campagna in gita sul lago.
«Ma come? E i gatti, e il pifferaio magico che ci ipnotizza con la musica del suo piffero e magari ci porta tutti ad annegare in fila indiana dentro il lago?».
«Storie, amico mio, roba vecchia, dai retta a me, a Como si sta in pace. Da quanti giorni scorazziamo in questa aiuola fronte lago? Hai mai avuto paura che qualcuno ti facesse la pelliccia?». Il topo di città aveva ragione, pensò quello di campagna, finora nulla di male gli era accaduto, e ormai erano giorni che si trovava in vacanza in piazza Cavour. Certo, faceva freddino, il rischio era di morir di freddo se per sbaglio si fossero intinte zampe e coda nel lago, ma di paura e di fame, mai. Impossibile. Eppure qualcuno aveva dato l'allarme, aveva fatto la spia, aveva detto «attenti ai topi!», ma niente.
I topi lì, in centro, stavano proprio tranquilli. Fossero stati ad Hamelin, allora sì sarebbero stati guai, sarebbe arrivato quel presuntuoso di pifferaio e, addio. Una suonatina, e tutti i topi l'avrebbero seguito, annegando contenti a passo di marcetta dentro il lago.
«Uau, per fortuna siamo a Como» pensò allora a voce alta il topo di campagna mentre, zampettando nell'aiuola, riandava con la mente ad Hamelin. «Già, forse qui hanno capito che non siamo poi così male, mangiamo schifezze, è vero, possiamo portare malattie, va bene, ma Cenerentola l'abbiamo aiutata a mettere i fiocchi sul vestito, i nostri cugini Bianca e Bernie si sono dati da fare per liberare una bambina, lo chef Remy ha insegnato a cucinare ratatouille al cuoco». Ribattè il topo di città.
Comunque fosse la vicenda, ai due topi qualcosa non quadrava, a loro pareva davvero strano che gli umani di Como potessero essere diventati d'un tratto così comprensivi e saggi da lasciarli pascolare indisturbati tra i turisti che si facevano due passi sul lungo lago.
«È anche vero - disse il topo di città - che questo non è più proprio un lungo lago-lungo lago, né una piazza a lago-piazza a lago. Il lago si vede poco e male e l'altro giorno, nel bordo lago che frana ho rischiato di lasciarci una zampa che mi si era impigliata in una crepa. Forse è per questo che ci lasciano qui tranquilli, perché la città è in disordine, e noi... adoriamo il disordine. Un po' di sporco qua, una cosa rotta e un rifiuto là. Ti dico la verità amico di campagna, non vorrei nulla di più». «A chi lo dici, amico di città, da me ci sono ancora le trappoline col gruviera, il veleno che ti frega perché sembra cibo, i gatti che ti affondano le unghie nel collo e ogni tanto arriva uno che spruzza ovunque una cosa che non so cosa sia, ma che ne ha stecchiti parecchi di topi. Ecco, da me non si è mai visto il pifferaio, figurati, basta tutto il resto!».
«A Como però non c'è né uno, né l'altro. Né trappole, né gatti, né veleno. Arriverà il pifferaio?», si chiese allora il topo di città. E con quella domanda in testa tamburellò nell'aiuola a fianco, un bambino aveva appena fatto cadere un pezzetto della sua brioche, altro che lardo e fagioli.
Carla Colmegna
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