I numeri dicono sempre la verità. E il "referto" delle votazioni dell'ultimo consiglio comunale fiume - si è concluso poco prima delle 2 del mattino - è impietoso nel segnalare come, ancora una volta, l'opposizione abbia fatto da stampella al sindaco Stefano Bruni. Sul tavolo la ricapitalizzazione di Villa Erba, il polo fieristico nato per essere il volano della new economy comasca e rimasto in piedi finora solo grazie a consistenti innesti di denaro pubblico. Palazzo Cernezzi nel sogno infranto ha perso circa un milione di euro. Per semplificare il consiglio era chiamato a decidere se avallare o meno un'altra iniezione di capitale, visto che il debito della società supera i 6 milioni di euro. Al di là delle logiche economiche la domanda è una: credere o no in Villa Erba?
Il sindaco è arrivato in aula con buona parte del suo partito, il Pdl, molto scettico sull'operazione e, a metà serata, ha estratto il coniglio dal cilindro per trovare una via d'uscita a una proposta che tra i primi contestatori aveva proprio i suoi fedelissimi. E il coniglio aveva la forma di un emendamento per dire, in estrema sintesi, che il consiglio condivideva l'operazione, ma non era nelle condizioni di mettere soldi (almeno fino al 2013). Determinanti, a sostegno della strategia Bruni, quattro sì del Pd e quattro consiglieri di opposizione fuori dall'aula. La Lega se n'era andata da un pezzo e i rappresentanti di Forza Como-Autonomia liberale (ex pidiellini e un ex leghista), con il resto della minoranza, avevano premuto convinti il tasto rosso. La bocciatura dell'emendamento avrebbe costretto il sindaco e il Pdl ad assumersi le proprie responsabilità: credere o no in Villa Erba? Dentro o fuori? Senza mezze misure, senza maschere, senza escamotage tecnici, senza scudi.
La stessa verità dei numeri è congelata all'1.43 del mattino con il voto sulla delibera finale: Bruni questa mattina può andare all'assemblea dei soci, sostenere la ricapitalizzazione, ma senza mettere soldi. Inutile dire che ad essere determinanti sono state le 4 astensioni del Pd, visto che la delibera è stata approvata con 12 voti (solo il Pdl) contro 11 tasti rossi.
La matematica applicata ai consigli comunali serve anche agli amanti delle analisi, delle strategie, dei tatticismi per studiare - a posteriori - i movimenti della politica. E proprio la politica sembra essere la grande assente nell'opposizione. Nessuna regia come ci si aspetterebbe dal partito di maggioranza relativa ancorché della minoranza. Ma forse il guaio è che lo stesso Pd è andato in frantumi. Lo rivela la fotografia di lunedì sera: su otto componenti, uno ha stracciato la tessera all'inizio della serata, uno era assente, uno se n'è andato di soppiatto allo scoccare della mezzanotte e un altro dopo un violento diverbio con un collega di partito. E i quattro rimasti hanno tolto le castagne dal fuoco al sindaco.
Il leit motiv, a Palazzo, è ormai sempre lo stesso. A cambiare sono le facce, i nomi di chi esce dall'aula, si assenta più o meno strategicamente. Nei cinque anni orribili dell'amministrazione Bruni lo scacchiere è cambiato diverse volte. Continui gli assist lanciati involontariamente dalla maggioranza e alcuni ex sostenitori di Bruni diventati ormai i suoi più convinti contestatori. Ma la verità - impietosa come i numeri - è che, nonostante tutto, i consiglieri entrati a Palazzo Cernezzi per fare l'opposizione, non hanno mai centrato il bersaglio
Gisella Roncoroni
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