Due anni e mezzo con la condizionale a chi ha investito e ucciso una donna incinta e un anno e quattro mesi, senza sospensione, a chi ha tentato di rubare una bicicletta.
Non sappiamo quale è il piatto della bilancia che pende, ma in queste due sentenze dello stesso tribunale, una a pochi giorni dall'altra, c'è la prova che terminato il periodo emergenziale del presidente del consiglio più imputato del mondo, il successore, che almeno in questo campo non è in conflitto di interessi, dovrà pensare anche a una riforma di codici e procedure.
Perché nella storia del tunisino arrestato l'altra sera a Rovellasca per una bicicletta, a pensarci bene, c'è la metafora di come è ridotta la nostra giustizia.
A cominciare dall'arresto fatto da un vigile urbano che la la legge lombarda - unica in Italia - definisce «poliziotto locale», ma ultimato dai carabinieri, che hanno chiuso gli atti e steso il verbale. Una volta in tribunale un altro "supplente", il pubblico ministero onorario invece di quello professionale, si è accordato con un avvocato, presumibilmente d'ufficio visto che in manette era finito un profugo nullatenente sbarcato di recente dalla Libia.
Se a questo punto qualche lettore di simpatie leghiste dovesse esultare, convinto che un pericoloso delinquente la smetterà di pesare sulle tasche dei contribuenti lombardi (almeno di quei lombardi che le tasse le pagano) si sbaglia di grosso: è probabile che l'avvocato faccia ricorso alla legge sul cosiddetto gratuito patrocinio, che significa gratis per il presunto ladro ma a pagamento per il difensore, rimborsato al cento per cento dallo Stato in base alle tariffe professionali. In attesa che Mario Monti faccia saltare i minimi imposti dagli Ordini, il fascicolo sul ladruncolo di Rovellasca rischia di ingolfare le aule di giustizia fino alla Cassazione (foste voi l'avvocato, rinuncereste a un cliente del genere?) e, fra un'udienza e l'altra, di costare diecimila euro.
Va bé, dirà il lettore moderato, la giustizia non ha prezzo, anche se il processo costa dieci volte più della bici. Ma quale processo? Mica è stato celebrato. Da quando è stato introdotto il concetto della cosiddetta economia processuale, cioè sconti e riti speciali ai colpevoli pur di non andare in aula, il giudice generalmente non li celebra, i dibattimenti. Anche in questo caso, in effetti, accusa e difesa si sono accordate per un patteggiamento. Tentato furto, era l'imputazione originaria ma il giudice, sentito quello che una volta si chiamava rapporto, ha spiegato che siccome il tunisino aveva strattonato il vigile durante la fuga, c'era stata violenza, dunque non si poteva contestare il furto, ma la tentata rapina. Ma era una fuga o una rapina? Sul punto si sarebbe potuto sentire il poliziotto locale, se non fosse che in tribunale c'era solo il carabiniere statale. Quindi è passata la tesi della rapina, ininfluente il fatto che di armi, e di proprietari, in giro non ce ne fossero. E consumata, ben più grave del semplice tentativo. Considerato inoltre che il profugo è senza fissa dimora e può fuggire, l'accusa non ha negoziato con il difensore la sospensione condizionale della pena, come del resto vuole la più recente giurisprudenza. Anche se, in attesa di appello e Cassazione, è stato rimesso in libertà.
Ecco, più o meno, come si arriva a dare sedici mesi a un tizio che tenta di impadronirsi di una bici. Al suo posto tenteremmo la fuga a piedi scalzi.
Mario Cavallanti
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