Era il marzo del 2006: l'ultimo proposito che questo articolo si prefigge è di auspicare, cinque anni dopo, una replica di quei giorni feroci e vergognosi. Non per questo, può sfuggire a una riflessione la notizia che, acquistato e restaurato un palazzo del centro storico, il calciatore comasco Gianluca Zambrotta ha deciso di proteggerne la verginità ingaggiando un servizio di guardie private. Non può perché non c'è esempio più evidente, cubitale, di come ogni residuo senso civico abbia abdicato di fronte all'avanzare del degrado, al punto che chi può - e Zambrotta può - assume gli "sceriffi", mentre gli altri si accontentano di assistere impotenti al lento naufragio della città: uno spettacolo sempre affascinante, di solenne anche se poco dignitosa drammaticità.
Potrebbe sembrare eccessivo addebitare a qualche fregaccio sui muri la sconfitta di un'intera comunità, ma in fondo è proprio così. I muri sono lo specchio indifeso di ogni rigurgito mentale. Accanto a un portone assistiamo all'opera di chi, noncurante del decoro urbano, del pudore personale e del disinteresse collettivo, non esita a informare la cittadinanza di essere innamorato pazzo del suo "batuffolino"; in una strada tutt'altro che secondaria, un secondo anonimo non sa resistere alla tentazione di informarci che, per lui, il duce resta pur sempre "l'eterna luce". Campione imbattuto dell'assurdo e del ridicolo, infine, quel tale che, sulla facciata appena riverniciata di una stazione delle Nord, scrive, in lettere nere, lo slogan "No Tav": «Nessun pericolo che qui passi un treno ad alta velocità» lo rassicurano ogni giorno, mentalmente, centinaia di studenti e pendolari.
Tutto ciò compone un quadro generale di sciatteria e degradazione la cui bruttezza dovrebbe ferirci gli occhi se, per fretta e istintiva difesa, non fossimo abituati a percorrere le strade a testa bassa, preoccupati che la nostra auto non abbia un graffio ma non che la nostra città venga di ora in ora sempre più umiliata. Zambrotta ha risolto il problema da milionario: pagando qualcuno che faccia la guardia al suo investimento, in modo che l'innamorato di "batuffolino", l'anarchico di quartiere e il fascista mistico non lo svalutino sfogando la loro piratesca creatività. Gli altri comaschi non possono fare altrettanto, e non sarebbe neanche giusto provassero a farlo, ma, almeno, potrebbero ricordarsi che lo sgorbio sul muro, anche sul muro altrui, intacca un patrimonio comune, quello di una città nella quale val sempre la pena di vivere e che merita i nostri sforzi di renderla migliore, per noi e per quanti vorranno visitarla.
Un messaggio, questo, indirizzato al Palazzo, responsabile primo del bene pubblico, ma anche a tutti i cittadini, ai quali il bene appartiene e la cui cura finisce per definirne il carattere e il livello di civiltà: forse dovremmo, di tanto in tanto, trasformarci nelle guardie private di noi stessi.
Mario Schiani
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