Ha fatto bene perché a distanza di due mesi, l'Aula di Montecitorio ha strappato il velo che rischiava di far filtrare per gli occhi dei cittadini un mondo, una realtà che non c'é: ovvero che è cambiato il governo, ma la maggioranza in Parlamento è un'altra cosa. Non è quella che, con ben più di un mal di pancia, sostiene Monti e i suo professori, ma non è più nemmeno quella uscita dalle urne nel 2008.
Piuttosto assomiglia ancora alla maggioranza, sfilacciata, stanca e ringhiosa che aveva retto fino all'ultimo, fra voti di fiducia strappati anche con manovre poco etiche e continui tracolli nelle giornate di ordinaria seduta parlamentare. Cosentino ha evitato ancora una volta l'arresto plateale, Berlusconi ha risollevato il capo, Bossi può tornare a rivendicare una sorta di golden share sui casi più scottanti e vicini al cuore del Cavaliere. E così ieri per poter tirare fuori l'ex sottosegretario dall'incubo delle patrie galere, Berlusconi ha dovuto affidarsi al garantismo estremo e non sempre alieno da calcoli politici dei Radicali e all'opera di convincimento sui leghisti più freddi grazie al suo potere e al peso del Senatur. Ora è battaglia sui numeri, con gli uomini di Pannella diventati decisivi e finiani e dipietristi che parlano di altri 25-30 voti in libera uscita, in un complicato gioco che coinvolge non solo leghisti, ma centristi e Democratici.
La sostanza è che, se possibile, il voto di ieri ha paradossalmente rafforzato Monti. Il governo non si era espresso, ha lasciato che se la giocassero i partiti. Dal canto suo metterà mano alla Giustizia attraverso una serie di modifiche annunciate dalla Guardasigilli e sulle quali Berlusconi avrà meno aggio di ieri per contestare o addirittura votare contro. E con il Cavaliere, anche le altre forze politiche escono indebolite. La Lega, su tutte. Maroni in particolare appare lo sconfitto, lui che in giunta per le autorizzazioni, aveva fatto virato il voto sul sì all'incarcerazione. Fra ieri e il giorno precedente ha dovuto piegare il capo al diktat del leader storico e al "no" in libera coscienza di parte dei deputati. Ma anche Bossi non può cantare troppo vittoria. A parte un singolare «la storia della Lega non è mai stata forcaiola» - basti il cappio ostentato in aula da Leoni Orsenigo -, si ritrova con un partito in cui la frattura con i maroniani, sanata dal passaggio all'opposizione, si è riprodotta ancora più profonda. E con la base in rivolta, come dicono gli sfoghi su radio e web.
Tuttavia hanno poco da consolarsi anche il Pd e perfino l'Udc: Radicali a parte, qualche no è uscito anche da queste schiere, grazie al voto segreto. E il Pd ha dovuto scusarsi per l'abbraccio di uno dei suoi a Cosentino, una volta appreso l'esito della votazione. Segnali allarmanti sulla capacità non tanto di controllare i propri deputati, bensì di far comprendere al partito profondo che la legge è uguale per tutti, parlamentari e cittadini comuni.
Ecco perché il voto di ieri è stato "positivo": ha rivelato che sotto la credibilità dei tecnici e la ritrovata fiducia in mezzo mondo, il Parlamento resta quello di prima. E Cosentino resta un deputato che i giudici accusano di essere un referente dei camorristi.
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