Ma ieri il dietrofront non è stato frutto di un compromesso, è vero che il senatür e l'ex ragazzo di Lozza si sono parlati, ma quando già Umberto Bossi aveva deciso che il "bavaglio" era stato respinto dal suo popolo. Dalle valli lombarde, vero feudo elettorale del Carroccio, è arrivato il "segnale": decine e decine di sindaci e segretari di sezione pronti a invitare Roberto Maroni nei loro comuni per manifestazioni pubbliche. Val Camonica, Val Seriana, e poi la "culla" Varese pronta ad accogliere Bobo Maroni mercoledì sera. Ma quello che più ha fatto impressione è stata la ribellione padana sulla "rete", la protesa del militante mai anonimo a con nome e cognome. Facebook, blog e bacheche varie hanno trasformato la realtà virtuale di internet nella prima, vera autentica protesta interna al movimento. È un paradosso, ma ieri il più antico partito italiano ha visto cambiare la sua storia dal mezzo di comunicazione più moderno. Quella "rete" che già nel 2008 aveva compiuto un altro miracolo: trasformare l'outsider Obama nel primo presidente afroamericano degli Stati Uniti.
Da oggi gran parte del destino della Lega è dunque nelle mani di Roberto Maroni, chi ne aveva suggerito il "commissariamento" ha probabilmente perduto quell'ascendente, quella forza psicologica che ad ascoltare la base aveva creato le condizioni politiche per il clamoroso veto. Il pensiero di tutti va al cosiddetto cerchio magico, ma sarebbe riduttivo vedere solo in questo schema - cerchisti contro maroniani - quanto sta accadendo nella Lega da oltre un anno. Bisogna andare indietro all'agosto 2010, al vertice di Lesa. Fini era a un passo dallo strappo di Mirabello, la maggioranza di governo era ridotta al lumicino e Maroni ma anche Bossi chiesero a Berlusconi le elezioni anticipate. A Lesa, il cavaliere riuscì a convincere il senatür ad andare avanti, il dissenso dell'allora ministro dell'Interno restò netto, ma davanti al capo obbedì.
Era forse l'ultima possibilità di rifare, dopo le urne, un altro governo per il federalismo. Infatti Pdl e Lega erano reduci dal trionfo delle regionali, ma soprattutto dal palazzo di giustizia di Milano non era stata avviata l'inchiesta Ruby, il bunga bunga era sconosciuto, via Olgettina era una strada anonima alla periferia di Milano. Da quel "no" di Lesa poi tutto è cambiato nel parlamento italiano, oggi il federalismo è congelato, e a Palazzo Chigi ci sono i Professori. Ora la parola passa a Roberto Maroni, il numero uno del Carroccio rimane Umberto Bossi però l'ex ministro dell'Interno da ieri pomeriggio ha la responsabilità più grande della sua vita politica: deve chiedere i congressi regionali e parlare chiaro a colui con il quale in via San Pedrino a Varese ha fondato la Lega nel 1979. Glielo ha chiesto ieri, con quella drammatica retromarcia, l'Umberto Bossi che ha conosciuto trentatré anni fa. Ieri quell'uomo ha "capito" chi è il suo fratello padano.
Alessandro Casarin
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