Il racconto di quello che accade nelle carceri italiane potrebbe essere il contenuto di un'interminabile romanzo dell'orrore. A San Vittore in celle di sette metri quadrati, faticano a respirare sei detenuti per 20 ore al giorno. A Poggioreale ne ammassano anche una dozzina per ogni gabbia. Nell'anconetano Montacuto i reclusi sono costretti a fare i loro bisogni in appositi "pappagalli", perché i bagni sono sufficienti per 178 ospiti e non per i 448 esseri umani che ci vivono. Ma l'estremo orrore è stato scoperto in quelle carceri dentro le carceri che sono gli ospedali psichiatrici, dove gli ospiti vengono legati ai letti e privati dei farmaci.
Le 206 prigioni italiane scoppiano e non da oggi; 68mila detenuti sono stipati in strutture destinate a non più di 45 mila. La qualità della vita si è abbassata notevolmente anche perché dal 2007 al 2010 la spesa annua è stata ridotta da 13.170 euro pro capite, a 6275. Ventottomila detenuti sono in attesa di giudizio, il 42% dell'intera popolazione carceraria.
"Siamo di fronte ad un'emergenza - ha detto il ministro Severino-- che rischia di travolgere il senso stesso della nostra civiltà giuridica, perché il detenuto è privato delle libertà soltanto per scontare la sua pena e non può essergli negata la sua dignità umana". Parole da sottoscrivere, ma che possono essere solo la giusta premessa a decisioni che non possono essere rimandate nemmeno di un giorno. I 66 suicidi di detenuti nel 2011 ne sono la prova inconfutabile. Ma può essere considerato davvero costituzionalmente rieducativo un mondo carcerario nel quale il rischio suicidio, è venti volte superiore a quello della popolazione "libera"? Dove l'indice di sovraffollamento medio è del 149%, contro il 99% europeo? Quanti altri morti dovranno esserci per convincere il Parlamento della necessità di decisioni immediate e coraggiose?
Negli anni ottanta e novanta abbiamo assistito a rivolte violente negli istituti di pena. Da anni questo non accade più, se non sporadicamente. I detenuti hanno scelto, fortunatamente, altre strade. Ma per quanto ancora? Aggiungere dolore a chi è già stato privato del bene primario, la libertà, non è accettabile per un Paese civile. Di fronte all'ipotesi di un'amnistia il ministro Severino non ha obiettato. Ha giustamente sottolineato come una decisione in questo senso richieda una maggioranza qualificata in Parlamento. E allora che siano le forze politiche a decidere di chiudere definitivamente il romanzo degli orrori.
Massimo Romanò
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