L'unica opposizione al governo è nelle piazze e spesso è un'opposizione dettata dalla disperazione e che quindi rischia di diventare feroce. Non ammette tentennamenti; chi non ci sta diventa un nemico. L'episodio del camionista travolto e ucciso ad Asti, le aggressioni ai taxisti a Roma, sono sintomo di una tensione pericolosa e che rischia di essere senza ritorno. C'è molto di più delle proteste degli anni scorsi.
In questa situazione ad alta tensione, il governo e la politica sembrano due corpi separati. L'esecutivo continua la sua marcia a tappe forzate, fatta di decisioni dolorose, ancorchè spesso necessarie. La politica guarda impotente.
Gli interessi particolari presi uno ad uno, hanno una loro legittimità, soprattutto in un momento di drammatica difficoltà economica. Il problema è come riuscire a coniugare questi interessi particolari, con gli interessi generali di un Paese che si trova sull'orlo del baratro. Ma questo chi può farlo se non la politica? Una volta c'erano organizzazioni di massa, partiti che controllavano, dirigevano i processi politici e sociali. Sul territorio c'erano le sedi dei partiti che non stavano a guardare, ma cercavano di capire, di intervenire, di mediare. Oggi tutto questo è svanito e non è stato rimpiazzato da nessuno.
Ciò che manca è un tessuto unitario che chieda al Paese di condividere l'emergenza nella quale ci troviamo tutti a vivere, che chieda lo sforzo di rinunciare, almeno in parte, all'interesse particolare, in nome di un interesse più grande. Ma che dall'altra sia capace di mediare con il governo sulla necessità di chiedere sacrifici non solo alle fasce più deboli, ma che abbia il coraggio di colpire davvero laddove nessuno ha mai colpito, sugli sprechi e sulle ricchezze nascoste. Ma oggi la politica non c'è. O meglio, è occupata altrove, a tessere la ragnatela di ciò che dovrà venire dopo che il governo Monti avrà portato a termine il suo compito.
Il Movimento dei Forconi che per una settimana ha messo in ginocchio la Sicilia, finendo per contagiare l'intera Penisola, si è manifestato come la "rivolta della pancia vuota" per una crisi arrivata per le famiglie a livelli insopportabili, ma anche come la rivolta del disagio sociale e della rabbia contro la latitanza della politica nazionale e regionale.
Ciò che è accaduto in Sicilia si sta replicando in tutto il Paese. C'è davvero il rischio che gli interessi particolari, vincano sulla necessità di compiere un sacrificio perché ciascuno di noi possa sperare in un futuro migliore. Ma se la politica non riconquisterà al più presto il suo ruolo di mediazione, rischieremo di essere inevitabilmente immersi in una continua situazione di ribellismo sociale. Non si tratta di essere favorevoli o contrari rispetto a ciò che fa il governo, ma di capire che non si governa da Palazzo Chigi senza un controllo democratico sul territorio. Cioè senza politica.
Massimo Romanò
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