Perché al prossimo giro completo di calendario, sulla poltrona più alta del Comune, ci sarà certamente qualcun altro. A prendersi meriti o demeriti. Ma comunque non sarà più Bruni che, in dieci anni, non è riuscito a mettere a segno nemmeno un obiettivo.
Le 18.08 del 27 gennaio sono l'unica certezza degli ultimi cinque anni sul grande spiazzo della Ticosa. I fuochi d'artificio e gli annunci trionfali ("La città rinasce da qui") del 2007 hanno lasciato il posto alle macerie contenti l'amianto crisotilo nel 2008, al progetto in commissione Urbanistica con annessi dubbi e incertezze sulla bonifica del sottosuolo nel 2009. Alla vecchia tintostamperia trasformata in una bidonville con fuochi, rifiuti e case improvvisate nel 2010 e nel 2011.
A un'area ancora tutta da bonificare e intrisa di veleni in questo 2012. Molto meno freddo di cinque anni fa, ma senza quell'entusiasmo che allora riscaldava l'aria e che oggi è rimasto solo nel programma elettorale con cui Bruni è stato rieletto a fine maggio del 2007. Quell'«operazione da manuale» con cui parlava del recupero Ticosa. E nei manifesti «impegno mantenuto» (con tanto di finto timbro) oggi svaniti anche dalla memoria e che hanno solo un sapore beffardo.
«Non festeggiamo perché una fabbrica ha chiuso, ma perché dopo 26 anni quel ferro vecchio viene sostituito con uno nuovo, con la vita, con un quartiere» disse il sindaco cinque anni fa mentre premeva il tasto che avviava la grande ruspa e i fuochi artificiali che avrebbero dovuto portare la città e la sua guida nella Storia.
La stessa Storia dove avrebbe dovuto essere incastonata anche la pagina di un lungolago da sogno e di un'opera avveniristica che avrebbe dovuto salvare Como dalle esondazioni. E invece gennaio, da mese delle grandi conquiste, si è trasformato nella ricorrenza delle sciagure. Le paratie spengono una candelina di cantiere fermo, senza operai e senza passi in avanti. E di fronte la prospettiva è tanto incerta quanto piena di possibili intoppi. Nessuno, in Comune, si azzarda a dare tempi di conclusione dei lavori e nemmeno a parlare dei costi. Nei prossimi mesi i comaschi affronteranno la quinta estate con il lungolago nascosto dietro a una palizzata e anche chi ha cercato di rimboccarsi le maniche (da Zambrotta al proprietario del Metropole) dal Palazzo ha incassato solo sberle e neanche un «grazie». Il tutto per un'opera faraonica che si è ridotta a 500 barre di alluminio da mettere manualmente in caso di esondazione. Una versione leggermente più avanzata dei cari vecchi sacchetti di sabbia che, con una diversa regolazione dei livelli dal lago da concordare con il Consorzio dell'Adda, avrebbero potuto essere lasciati in cantina.
Gisella Roncoroni
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