La spiegazione di cosa vuol dire crisi, recessione sta in queste cifre, anzi nel dato ancora peggiore riferito solo a dicembre quando le retribuzioni orarie sono salite dell'1,4% contro il costo della vita attestato al 3,3%. E dire che un anno prima, nel 2010 la crescita delle retribuzioni si era attestata a un +2,2%. In questo caso il dato diventa ancora più drammatico, perché la differenza - la cosiddetta forbice - è arrivata all'1,9%, il massimo addirittura dal 1995.
Alle spalle di questa contrazione drammatica, oltre ai nodi macroeconomici, balza fuori in tutta la sua drammaticità la situazione delle aziende, strette tra consumi in caduta e credito sempre più difficile.
Da qui la conseguenza che tutt'ora sono più di 4 milioni - il 31,4% del totale - i lavoratori ancora in attesa di rinnovo contrattuale, con un'attesa salita a due anni e nove mesi. Non per tutti è andata male, lo scorso anno, visto che sono riusciti a spuntare incrementi maggiori della media alcuni comparti del privato e un paio di settori pubblici cui i partiti riservano un'attenzione superiore, come i militari e le forze dell'ordine. Mentre è andata decisamente peggio nel resto del settore pubblico con i settori scuola e ministeri che hanno visto le retribuzioni salire solo di un misero 0,2% e di uno 0,3% per chi lavora negli enti locali o nella sanità.
A questo punto lo stesso Monti si rende conto che oltre non è possibile andare: con tutta probabilità, per salvare i conti e rassicurare l'Europa e la Merkel, le tre manovre dello scorso anno avranno una ricaduta disastrosa sui consumi, non per nulla il Fondo monetario ci vede in recessione quest'anno (-2,2%) e anche il prossimo (-0,6%). Come è ben conscio che liberalizzazioni e semplificazioni burocratiche forse ci alleggeriranno la nostra vita quotidiana, ma gli effetti sulle tasche dei cittadini saranno lontane.
La questione centrale, dunque, è mettere mano ai salari e agli oneri che li gravano. Le buste paga italiane sono al 22° posto nella classifica degli stipendi dei 34 Paesi più industrializzati e, in media, nelle tasche dei dipendenti italiani entrano 4 mila euro in meno che non nel resto dei 15 Paesi dell'Eurozona. La via maestra passa per una tassazione più leggera - la nostra è al 46,9%, ma non va dimenticato che in altri Paesi come Francia e Germania è sopra al 49% - e in aumenti legati però alla produttività, per ottenere la quale serve un Paese che riprenda a marciare. Sarà per questo che, senza troppi altri margini di manovra a disposizione nell'immediato, ieri da Monti alla Marcegaglia la parola d'ordine che torna è «ottimismo», grazie anche a un'Italia riammessa con onore nei salotti internazionali. L'unico dubbio è se basterà.
Umberto Montin
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