Premesso che, da genitore, spendo volentieri quando si tratta di favorire la cultura e l'istruzione di mio figlio, in più di un'occasione è tuttavia capitato anche a me di fare appello al testo costituzionale. Ovvero al secondo comma dell'articolo 34 secondo cui «l'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita». Perché? Non certo per risparmiare 10 - o cinquanta - euro, che ormai non bastano più neanche per fare un pieno all'automobile, ma per delle questioni "di principio". E se i principi non si fanno valere nella scuola, che dovrebbe insegnarli... Ma arriviamo a quelli inderogabili: per prima cosa un contributo volontario, qual è quello chiesto alle famiglie dalla maggioranza delle scuole (fa eccezione la "tassa" per il funzionamento di alcuni laboratori) deve essere realmente tale, ovvero accompagnato da un'adeguata spiegazione da parte dell'istituto e dal rilascio di una ricevuta, che tra l'altro ne consentirebbe la deducibilità nella dichiarazione dei redditi.
Oltre a queste, c'è una ragione superiore per cui i soldi chiesti alle famiglie, da parte della scuola statale, devono essere esplicitamente volontari e non surrettiziamente obbligatori: perché c'è anche chi non può pagare, come quel papà, che con grande imbarazzo, ma anche non poco coraggio e dignità, qualche giorno fa, aspettando l'uscita dei bambini da una scuola di Como, chiedeva a un altro genitore un aiuto per pagare una bolletta. E scopriva che quell'altro non era messo tanto meglio. Già, in tempi di crisi queste situazioni sono meno rare di quanto si pensi, purtroppo. E a scuola ci deve poter andare, senza sentirsi in alcun modo discriminato, anche il figlio di chi ha perso il lavoro.
A riaccendere i riflettori sui contributi delle famiglie ci ha pensato l'iniziativa ministeriale "Scuole in chiaro", che ha reso a portata di clic, sul sito del Miur, i bilanci degli istituti. Che quelli statali, a Como, ricevano contributi privati che vanno dall'11 all'82%, con una media attorno al 40%, è un segno dei tempi. Ma non necessariamente negativo. Dietro quelle cifre, a volte, ci sono genitori spremuti come limoni, ma non sempre. Per fortuna, in qualche scuola comasca, pur essendo i consigli di istituto formalmente impotenti rispetto a quelli delle parigrado inglesi (per citare un esempio interessante da seguire), cominciano a farsi largo idee e proposte realmente "creative" e "innovative" per raddrizzare i bilanci. Dalla raccolta di sponsor tecnici, alla messa a reddito delle aule che possono essere affittate in orario extrascolastico, fino a contributi dei genitori davvero volontari e dati col sorriso: quello strappato da una commedia messa in scena dai genitori medesimi (a Como Borghi) o di un cineforum organizzato in orario pomeridiano (a Como lago). E sicuramente ci saranno anche altri esempi che andrebbero pubblicizzati e imitati. Per innescare un circolo virtuoso.
Pietro Berra
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