I centristi vorrebbero fare della grande coalizione in salsa italiana un modello anche per il 2013: non è un caso che sia circolata l'ipotesi di una candidatura di Corrado Passera a premier di un nuovo esecutivo di larghe intese. Ma Silvio Berlusconi e Pierluigi Bersani sono di ben altro avviso e insistono perchè la riforma elettorale mantenga un forte impianto bipolare.
Non si tratta di sottigliezze tecniche. Il Cavaliere non ha rinunciato all'asse del Nord, come dimostra il suo incontro di molte ore, fino a notte fonda, con Umberto Bossi. L'alleanza tra Pdl e Lega appare ibernata ma non archiviata. E infatti il vertice di Arcore ha sostanzialmente registrato una piattaforma comune per le riforme che, partendo dal taglio dei parlamentari, giunga alla possibilità per gli elettori di scegliere i propri rappresentanti e al rafforzamento del sistema maggioritario. Ciò significa che i due leader guardano già alla prossime elezioni e ad una nuova intesa alla quale l'Udc e, forse, il Fli potrebbero aggregarsi nell'ottica del Ppe.
La posizione di Bersani è speculare ma non molto diversa. Il segretario democratico dice chiaro che il 2013 dovrà essere l'anno dell'archiviazione del governissimo. La linea resta sempre quella di un centrosinistra guidato dal Partito democratico, baricentro attorno al quale ruoterebbero il terzo polo e la sinistra.
Operazione complessa, in verità, se si guarda al malessere di Sel: "non morirò democristiano", avverte infatti il governatore della Puglia secondo il quale l'alleanza con i moderati non può tradursi in un suicidio politico dei progressisti. Vendola non ha intenzione di accordarsi con Pierferdinando Casini ma di riproporre su scala nazionale il modello Milano e Napoli.
Ne deriva che le riforme condivise rappresentano un terreno insidioso sul quale, come dice Bersani, il governo stesso rischia di cadere in trappola: il riferimento è alle battaglie sulle liberalizzazioni e sulla giustizia attorno alle quali si muovono i meccanismi della vecchia maggioranza Pdl-Lega.
Un fatto è certo: a riaprire questo spazio politico ai partiti è stata l'iniziativa berlusconiana di avviare le "consultazioni" sulla riforma elettorale. Un modo per dare corpo alla centralità delle forze parlamentari (sebbene Di Pietro si sfilato dagli "incontri da sottoscala") e sfuggire a quella che alcuni pidiellini definiscono "l'idolatria" per Monti.
Il premier fin qui è stato abile nel tenersi alla larga dalle riforme istituzionali. Il suo compito è di difendere i provvedimenti economici appena varati, di scongiurare stravolgimenti in corso d'opera e di proseguire la moral suasion nei confronti dei mercati e dell'Europa. Ma il Professore è perfettamente consapevole che la tenuta dell'esecutivo dipende dal clima di fiducia tra i partiti e dalla possibilità di realizzare la riforma dello Stato per cui il Quirinale si è tanto battuto: dunque anche su questo terreno serve un accordo.
Pierfrancesco Frerè
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