Un anno fa, numeri di questo genere nel Mugello lariano del centrodestra, avrebbero suscitato grasse risate. E ancora oggi, sia pure a denti stretti, c'è qualcuno che ghigna nel Pdl locale e rifiuta di prendere in considerazione un simile risultato. Normale perché ammettere i propri errori è molto più difficile che commetterli. Eppure, la rilevazione dell'istituto triestino, pur depurata di alcuni elementi non secondari, potrebbe rappresentare se non la realtà del peso elettorale del partito, qualcosa che vi si avvicina molto.
Gli elementi di cui tenere conto nel valutare il lavoro riguardano innanzitutto il fatto che agli elettori è stato presentato un candidato ufficiale, Mario Lucini del centrosinistra, assieme ad altri che non lo sono e magari non lo saranno neppure: Sergio Gaddi per il Pdl e Armando Selva per la Lega. Il risultato attribuito a questi due è certo figlio della grande visibilità del primo (che supera quello del proprio partito) e della lunga assenza dalle scene politiche del secondo (non a caso al di sotto del voto della Lega). C'è poi da sottolineare che il campione di 700 interviste potrebbe non essere del tutto rappresentativo dell'elettorato comasco. Infine non va trascurato il 27% di indecisi e il 9% che all'epoca delle interviste ha dichiarato di non avere intenzione di votare. Messi assieme, sono di gran lunga il primo partito della città.
Detto ciò e considerato anche il potere di erosione delle liste civiche, destinate a risultati significativi anche grazie al vento dell'anti politica e all'effetto Monti, il Pdl dovrebbe riflettere sulle cause di questo risultato. C'è il traino negativo delle vicende nazionali (cinque anni fa al contrario rappresentò un valore aggiunto determinante per il successo di Stefano Bruni già al primo turno), ma c'è anche l'azione, o meglio l'inazione di un partito che sul piano locale ha perso fiducia e appeal da parte non solo dei cittadini ma anche delle categorie di riferimento.
Le vicende disastrose dell'amministrazione comunale, riconosciute per quanto riguarda gli ultimi cinque anni, dallo stesso coordinatore provinciale del Pdl, Alessio Butti (uno che non ha l'autocritica facile) hanno determinato la rottura con i tradizionali referenti sociali. Qui il Pdl dovrebbe fare il mea culpa. L'errore di lasciare di fatto agli eletti l'esclusiva dell'azione non solo amministrativa, ma anche politica, sul territorio è certo la principale causa del crollo di consensi.
Da qui a maggio, ammesso che non sia troppo tardi e il macigno delle questioni romane non diventi impossibile da rimuovere, il Pdl, se vuole riprendere il ruolo centrale che il territorio gli ha riconosciuto negli ultimi 18 anni, deve abbandonare la politica dello struzzo e sporcarsi le mani tra la società civile. Quel 36% di elettori che ancora non hanno fatto una scelta attende che qualcuno batta un colpo. Le primarie per il candidato sindaco rappresentano un'occasione per riportare il partito di maggioranza relativa (o l'ex partito) sotto i riflettori. A patto che non si riducano all'ennesima resta dei conti interna.
Francesco Angelini
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