Il suo alleato è pressoché invisibile e perciò ancora più subdolo, la fibra di amianto, mille e trecento volte più sottile rispetto a un capello umano, che per anni ha circondato le nostre vite perché presente in oggetti o luoghi di quotidiano incontro, dai treni alle navi, dai pavimenti alle tettoie e o alle tubazioni di casa, dalla plastica alle vernici.
Chi inventò e produsse per anni un materiale derivato da questa fibra, pensò che la sua durata superasse quella di ogni forma di vita e perciò lo chiamò Eternit, nome oggi associato a quello di 2.100 morti e di circa 800 malati cronici, un marchio nefasto che ha falcidiato intere famiglie, perché nessuno informò mai gli operai del rischio che si portavano addosso, indumenti contaminati e in grado di trasmettere malattia anche alle persone vicine. Gli occhi di Romana Blasotti Pavesi, la coraggiosa presidente del Comitato familiari delle vittime dell'amianto, sono rimasti fermi mentre il giudice Giuseppe Casalbore leggeva la sentenza di condanna per i due dirigenti della multinazionale svizzera produttrice dell'Eternit, accusati di disastro ambientale e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche.
Molti, dei 1.500 che hanno seguito l'interminabile processo incominciato nel 2009, hanno pianto, per l'emozione e il ricordo dei morti, altri hanno riso, per i 35 mila euro che la ditta dovrà versare a ogni ammalato, perché l'asbestosi rende simili a un cronico fumatore di cento sigarette al giorno e batte sulla spalla a distanza di anni, come un malevolo creditore.
Per decenni, infatti, gli operai di Casale Monferrato, Cavagnolo, Rubiera e Bagnoli – una bella fetta di Italia, dal Piemonte alla Campania – hanno lavorato e respirato nell'ignoranza, un'ignoranza voluta dalla proprietà, perché già dagli anni Trenta era nota l'attività cancerogena dell'amianto, ma accanto a loro anche altra gente ha subito danni permanenti per la sola colpa di abitare vicino alle fabbriche o in case con l'Eternit infilato da qualche parte.
E non è finita, perché ogni anno, come in un'infernale liturgia, a Casale Monferrato e nei comuni della cintura si manifestano cinquanta nuovi casi di malattia, anche se le “tute blu” sono scomparse dal 1986, con la chiusura dell'impianto. Ogni operaio in attesa davanti al tribunale di Torino, teneva in mano un piccolo cartello giallo con scritto: «Strage Eternit: giustizia!». Questo grido muto ha avuto orecchi sensibili, e anche se nessuno potrà restituire le vittime ai familiari e la salute ai malati, tutti abbiamo avuto la sensazione che finalmente la giustizia stia ridiventando giusta, o quantomeno dalla parte di chi ha subito torti pesanti.
Dalla parte, insomma, di chi lavora, rischiando molto spesso la vita per la scarsa attenzione della proprietà alle norme antinfortunistiche, pagando colpe altrui troppo spesso nascoste nelle scatole cinesi del potere o mal interpretate dalla negligenza di magistrati miopi. E questo è un ottimo segno per la nuova Italia che faticosamente cerca di riprendere a camminare, soprattutto con la spinta di chi sta più in basso.
Mario Chiodetti
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