«Il Como ai comaschi» è un ritornello affiorato più volte, accanto a una società che, in verità, negli ultimi anni spesso ha avuto la maschera d'ossigeno. Qualcuno lo ha invocato per orgoglio territoriale, e tanto basta. Altri per avere garanzie di serietà: partendo dal concetto che, se uno abita qui e ogni mattina della sua vita ha a che fare con il lattaio, l'edicolante o il panettiere tifoso del Como, beh forse avrà più cura delle vicende azzurre. Non potrà girare l'angolo e poi via, chi si è visto si è visto.
Questa è, nel cuore tifoso, la garanzia che concede «Il Como nelle mani dei comaschi». Un fatto sorprendente, storico. Una città perdente praticamente in ogni suo recente anfratto, che ha subìto sconfitte imbarazzanti come le vicende di paratie e Ticosa, ha sofferto sul terreno di casa del tessile, non ha saputo recitare un ruolo nell'Expo, e (restando allo sport) ha perso il Giro di Lombardia e la F.1 motonautica per evidente non competitivtà economico-operative, ora annota questo virgulto di entusiasmo. In contropiede su tutto, sul contesto, sulla crisi economica, sulle prudenze passate e future.
Ha ragione Rivetti: non ci credevamo. E con noi, molti altri. Era difficile, sembrava impossibile. E' successo, e ciò va ricondotto alla combattività di Rivetti. A molti, tutto ciò basterà, e per un paio di motivi. Il primo è che l'esperimento del grande finanziatore che arriva, spende spande e vince, qui non ha funzionato. Ai tempi di Preziosi, lo stadio era sì pieno, ma sembrava una navicella avulsa dal reale, staccata dalla città-snob, che viveva il patron come un usurpatore. Peccato. Ora si cambia strada.
Dopo anni di stenti, di programmi che duravano una settimana, di stagioni affrontate vivendo alla giornata, di ritiri senza giocatori, (e purtuttavia grazie a chi ci ha tirato sù dai dilettanti alla Prima Divisione tra mille difficoltà), ecco qualcosa che assomiglia a una programmazione. Un gruppo di imprenditori della città che allunga a cinque anni il progetto, che negli ultimi anni è stato sempre a massimo di un anno.
E già qui è una bella notizia. Con quella, forse, che si possa riannodare il filo tra il ruolo ludico-sportivo di questa società, con quello sociale e politico, all'interno della città. C'è un pagina facebook, costruita recentemente da un gruppo di tifosi non più giovanissimi, che si chiama «Quando il Como era il Como». Basta farci un giro per capire cosa intendiamo con il ripristino di quel ruolo. Una realtà condivisa, tutto qui. Ok. Ma poi? Poi c'è il resto. Che oggi, il giorno dopo l'annuncio, pare in secondo piano. Ma che presto diventerà invece fondamentale. Quando ci si comincerà a chiedere: «Sì, va beh, ma quali comaschi?». Con che potenzialità, che progetti, che voglia di essere competitivi in un mondo spietato come quello del calcio professionistico?
Applausi a chi si è imbarcato in questa avventura. Che è intrigante, seppure con qualche mistero (tipo: perché cinque anni di programmazione? E dopo?). Ma a chi arriva serve un promemoria, a patto che non sia scambiato come una gufata: anche quel santuomo comaschissimo di Mario Beretta, quando il suo Como era ultimo in B (dopo avercelo portato) venne contestato. Il calcio è questo. Buon lavoro. E Forza Como.
Nicola Nenci
© RIPRODUZIONE RISERVATA