Come è andata a finire potete leggerlo all'interno. Qui, senza pronunciare giudizi sulle persone coinvolte nello specifico episodio, sulle loro responsabilità e sui loro atteggiamenti, vorremmo segnalare come ancora una volta la convivenza tra persone, quel reciproco rispetto che ci piace chiamare "civiltà", si sia dimostrato un ghiaccio sottile, facile a spezzarsi. E che come e forse più dello spread, delle trattative sul lavoro e del Prodotto interno lordo, a influenzare le nostre vite siano faccende di zerbino, dispute di ballatoio e controversie di scantinato. In altre parole, non è il Parlamento europeo a decidere del nostro umore e neppure Montecitorio o Palazzo Madama: è l'assemblea di condominio a toglierci l'appetito (quando va bene) o a riempirci la testa di malevoli e pericolosi fantasmi (quando va male). Non è certo simpatico, ma sembra inevitabile ricordare che i prodromi della strage di Erba furono gettati per questioni di pessimo vicinato. Certo: a ben più che una questione di pianerottolo deve essere attribuito il tragico epilogo di quella vicenda, ma a innescare il criminale inferno, ad alimentarlo di rancore e odio, fu proprio l'impossibilità di convivere, la patologica incapacità di tollerare.
Perché i litigi tra condomini sono tanto frequenti? Perché le assemblee di condominio diventano arene feroci dove l'importanza dei punti all'ordine del giorno - pulizia delle scale, manutenzione dell'ascensore, acqua che gocciola dai gerani - è inversamente proporzionale all'energia profusa nella polemica, nell'invettiva, nello scontro? Difficile dirlo. Di certo possiamo testimoniare che questa stortura è talmente radicata nell'animo umano da moltiplicarsi crescendo dal piccolo al grande, dal particolare al generale, dalla bifamiliare alla nazione. Annotava William Ralph Inge: «Una nazione è una società unita da un'illusione riguardo la sua discendenza e da un comune odio per i suoi vicini». Le guerre, potremmo concludere, sono assemblee di condominio finite male.
Ma non c'è bisogno di evocare eserciti in marcia per dubitare dell'umanità, quando essa si dimostra incapace di accordarsi sulla spazzatura piuttosto che sulle cassette della posta e trascina astio e rancori oltre ogni ragionevole limite. Molto probabilmente, i vicini di Einstein pensavano che il padre della Relatività fosse un "pistola" il quale, a furia di giocare con la velocità della luce, avrebbe fatto saltare il contatore generale. Qualcuno avrà finito per sparlare di lui, per svillaneggiarlo, addirittura per infilargli lettere anonime sotto la porta. «Quello si crede chissà chi» avranno sussurrato di bocca in bocca: «Ma che vada dal barbiere, una buona volta!» E il saggio Albert avrà infine dovuto ammettere che, sì, tutto è relativo, tranne la perfidia dei vicini. Quella è assoluta.
Mario Schiani
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