Il triste spettacolo andato in onda sul palco di Sanremo conferma queste parole. Perché sarebbe sciocco limitarsi ad una levata di scudi per le farneticanti dichiarazioni di Celentano. Il problema è capire chi e perché ha accettato che andasse in onda uno spettacolo così volgare nella sua pochezza.
Il molleggiato fa tristezza: è come un predicatore svuotato, una stanca ripetizione di sé stesso, che consuma le sue piccole vendette personali usando un mezzo potente come la televisione. Senza porsi il problema di come le sue parole rimbalzeranno nella vita dei milioni di italiani incollati al video come se si trattasse di un pulpito.
Quelle parole piene di veleno nei confronti di uomini di chiesa rei di non parlare del paradiso, ma soltanto di politica. Quell'auspicio di chiusura di giornali che fa venire i brividi alla schiena. Una sbruffonata detta da una persona mantenuta da decenni dal regime pubblico radiotelevisivo. Una persona che in questi anni ha avuto l'indubbio merito di svegliare il mezzo televisivo dal suo torpore, ma che oggi si è ridotta a concentrare il suo fuoco polemico su obiettivi facili, facili.
Ma il punto sono davvero le parole di Celentano? No, il problema è che quanto è accaduto dopo ha il sapore del grottesco. La Rai per settimane crea l'attesa per quella che sarà la bomba Celentano. E alla fine quella bomba invece che sul palcoscenico dell'Ariston, gli scoppia in casa, costringendo la presidente Lei a commissariare Sanremo. Pensare che Celentano potesse risolvere il problema di un Festival che arranca da anni, dandogli "mano libera" durante lo spettacolo più promosso e pompato, non è un segno di coraggio, ma di declino culturale.
Sembra ormai che la tv di Stato sia in grado di parlare solo per bocca dei suoi predicatori. Da Celentano, a Saviano, a Santoro. Gli unici modelli culturali sono le teleprediche e le finzioni malate dei reality. A quale pensiero si sono nutriti i funzionari che pensano, preparano e danno il via libera a questo scempio? A quale modello si riferiscono se non quello della violenta omologazione culturale? Il ricatto moralistico all'uomo, come negli anni in cui Pasolini denunciava il rischio di una deriva autoritaria dell'informazione, continua in tante forme.
Un nuovo mostro prospera in Rai: è la cultura dominante. Oggi sugli schermi televisivi ci sono i nuovi gendarmi della moralità, che decidono chi sono i buoni e i cattivi cristiani, che invocano la censura contro i giornali nemici. Il tutto pagato con i soldi dello Stato. Cioè con i nostri soldi.
«Per mezzo della televisione- scriverebbe ancora oggi Pasolini- il Centro ha assimilato a sé l'intero Paese che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un'opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto i suoi modelli». E' a questa operazione che bisogna opporsi. Con grande coraggio.
Massimo Romanò
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