Il 17 febbraio del '92 fu arrestato Mario Chiesa. Forse peggior anniversario per gli italiani che credettero a quella stagione di pulizia e onestà non vi può essere e non solo per le parole del presidente della Corte dei Conti. A pesare sono le parole di Antonio Di Pietro, allora uomo di punta del pool di magistrati milanesi guidata da Francesco Saverio Borrelli: «L'amarezza - dice nell'intervista all'interno - dopo vent'anni è che tutto è cambiato, ma nulla è cambiato».
La lettura che si dà degli anni di arresti, inchieste e polemiche, può essere diversa. Ci sono stati eccessi e omissioni, probabilmente non voluti, ma ci sono stati. Anche se Di Pietro e i suoi colleghi non sono dello stesso avviso.
Il dato di fondo, innegabile, è che la scoperta di un cancro tanto profondo quanto incistato nel tessuto politico e industriale di questo Paese, non ha portato - a cinque lustri di distanza - alla sua eliminazione.
Anzi, come sostiene un altro del pool, Piercamillo Davigo nella prefazione del libro «Mani Pulite» di Barbacetto, Gomez e Travaglio, il «sistema politico si è ricomposto» e le «campagne mediatiche contro le presunte "manette facili" hanno sortito l'effetto che oggi i magistrati arrestano molto meno per questi reati» ed è stato avviato un «processo di restaurazione che ha ottenuto il duplice risultato di far crollare il numero di condanne per corruzione e far precipitare l'Italia, negli indici di corruzione percepita, al penultimo posto nel mondo occidentale».
Insomma, siamo daccapo. Sempre salvaguardando il principio d'innocenza, dagli scandali che hanno investito i politici lombardi di Pd e Pdl, alle vicende della sanità pugliese, alle varie P3 e P4, ai comitati d'affari pronti a speculare su Protezione civile e terremoti, fino agli affari e sesso di Rifondazione, l'Italia ha mostrato in questi anni di non voler girare pagina. Anzi, le tecniche criminali si sono affinate e le leggi varate non dal solo Berlusconi, ma anche da governi di centrosinistra, non hanno certo agevolato i magistrati nelle indagini.
I politici però non sono "colpevoli" solo di questo: la responsabilità maggiore è di non aver introdotto nel corpo della nazione italiana e dei suoi cittadini gli anticorpi necessari a impedire che il virus della corruzione e dell'illegalità vi s'installasse e prolificasse. Il nodo non era ridurre la capacità d'indagine di polizia e magistrati in nome comunque di una sana tutela dell'indagato, ma porre le basi per far crescere un sistema politico, amministrativo e imprenditoriale che non vedesse più la mazzetta come principio ispiratore e principale motore dell'attività.
«Tutto è cambiato» ha detto Di Pietro. E ha ragione. Forse gli unici a non esserne consci sono i politici. Però il fatto che oggi a Palazzo Chigi ci sia un tecnico e che il vento dell'antipolitica soffi forte come non mai, dovrebbe metterli sull'avviso. Dopo il '92, una seconda "rivoluzione" non li perdonerebbe più.
Umberto Montin
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