Non ha né la formazione e neppure lo stile di un rivoluzionario, Mario Monti. Anzi. Però rischia proprio di passare alla storia italiana con questo marchio impresso grazie a una rottura storica, annunciata ieri e che con molte probabilità sarà consumata fra qualche settimana. La stagione della concertazione va in soffitta dopo i famosi accordi del '93. Ma viene accantonata una pratica che affonda nell'Italia del dopoguerra, nell'Italia democristiana e del centrosinistra, nella quale ogni governo poteva litigare più o meno con i sindacati, anche rompere in qualche caso, ma alla fine, soprattutto se metteva mano a materie come il lavoro, sotto il provvedimento vi comparivano virtualmente anche le firme dei tre sindacati principali, un tempo la famigerata Triplice.
Ora basta, ha detto Monti con la consueta bonomia avvolta in una corazza di acciaio. Si discute, ci si confronta, si trova anche una mediazione su alcuni punti, si ridiscute ancora, ma alla fine qualcosa esce: il provvedimento, decreto, disegno di legge che sia, riforma in senso letterale, diventa effettivo. Alla forze sociali spetterà la fase della protesta, a quelle politiche il voto in Parlamento, decisivo. Se i partiti diranno di no, il governo lascerà.
Uno scenario semplice, quasi automatico in qualsiasi democrazia, ma fino a ieri in pochi casi sperimentato in Italia. Qualche strappo lo aveva consumato il governo Berlusconi, ma in un quadro di contrapposizione soprattutto con la Cgil. In questo caso, non ci sono annunci ideologici alle spalle, ma una bella dose di pragmatismo. Che, a ben leggere le parole del presidente del Consiglio, si estende anche ad altri ambienti, non solo quelli sindacali.
In Parlamento arriverà il testo del governo, magari un po' ritoccato, ma anche in Aula sarà seguito lo stesso schema: dialogo, confronto, si media, ma alla fine l'impianto della riforma del lavoro sarà quello voluto dall'esecutivo e non stravolto dalla consueta guerriglia dell'Aula.
Il metodo, ecco il segreto di Monti che ieri, parlando di liberalizzazioni, ha detto senza mezzi termini che quest'altra riforma (sulla quale non vi sono disperati veti sindacali) il suo governo la «difenderà con i denti» contro tutti i blocchi e i pressing di partiti e relative lobby. Più o meno lo stesso avviso mandato a Camusso, Bonanni e Angeletti e, in parte, anche alla Marcegaglia.
Il metodo e lo stile. Oltre alle idee, ecco la sostanza dell'esecutivo dei "professori" che può contare sulla crisi e lo sbandamento delle forze politiche, mai come oggi impopolari e in difficoltà nel produrre ricette valide e poi presentarsi agli elettori. Monti no, non ha questi problemi: siamo una «brevissima parentesi» ha ribadito ieri e ne approfitta. Per salvare questo Paese di veti, paletti, lobby e ritardi.
Umberto Montin
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