Per secoli quella garanzia è bastata a intere generazioni di pazienti. Poi gli inevitabili errori e qualche evitabilissimo abuso sono usciti dal silenzio e dall'anonimato.
La magistratura ha assunto, nell'interpretazione di molti italiani, il ruolo di purificatrice dei torti. Internet ha portato in tutte le case l'illusione di una cultura universale, anche in campo medico. E il "signor dottore", al quale i nostri nonni si rivolgevano con il "voi", ha perso la sua intoccabilità. Anzi: è diventato un bersaglio. E, spesso, un capro espiatorio a cui dare la colpa. Segno dei tempi, verrebbe da banalizzare. Non fosse che quel segno sta minando le istituzioni del nostro tempo. La vicenda del Sant'Anna, costretto a rivolgersi a una compagnia statunitense per trovare una copertura assicurativa in caso di denunce per incidenti o lesioni da colpe mediche, o quella dell'azienda ospedaliera di Valtellina e Valchiavenna, costretta addirittura a migrare in Romania per garantirsi un paracadute economico, dimostrano l'urgenza di una riflessione sul rapporto tra camici bianchi e pazienti.
È chiaro che il piedistallo sul quale, fino a non moltissimi anni fa, era stato messo il medico, figura intoccabile prima ancora che infallibile agli occhi degli italiani, ha il sapore di un'esagerata divinizzazione. Anche perché, come in tutte le categorie umane, anche l'uomo e la donna con lo stetoscopio non sono esenti da errori. Ma quello che è accaduto negli ultimi vent'anni forse nessuno se l'aspettava. Il piedistallo non solo si è sgretolato, ma i medici sono stati trasformati in parafulmini. Bersagli contro i quali indirizzare il nostro senso di impotenza di fronte alla morte.
Gli errori, per carità, ci sono. E - Como lo ha purtroppo toccato con mano - a volte sono così gravi che è giusto pretendere una sanzione per coloro che li commettono. Ma è difficile credere che, in un ospedale come il Sant'Anna, si commettano davvero ogni anno cinquanta e più errori medici tali da dover chiamare in causa un magistrato. Eppure tante sono le querele che a San Fermo sono costretti a fronteggiare.
Paradossalmente, come fa notare anche il direttore amministrativo del principale ospedale comasco, Salvatore Gioia, mentre da un lato si abbandona l'obsoleta e roboante immagine del medico intoccabile, dall'altra si è iniziato a pensare chi indossa un camice bianco alla stregua di un guaritore. Un professionista a cui non è concessa altra via d'uscita che non sia la guarigione del paziente.
Internet, con la sua mole di informazioni e di nozioni, ci ha resi tutti un po' dotti, medici e sapienti. Gli scandali, da tangentopoli in poi, ci hanno offerto l'immagine di una magistratura come unico strumento utile per la soluzione di ciò che riteniamo ingiusto. Anche l'inevitabilità della morte. Un cocktail che s'è fatto amaro calice per chi lavora nella sanità. E, un po', anche per noi che in quella sanità dobbiamo poter continuare a guardare con speranza e fiducia. Proprio come ha insegnato Ippocrate.
Paolo Moretti
© RIPRODUZIONE RISERVATA