Draghi ha sostenuto che non c'è alternativa, in Europa, all'austerità. Non bisogna negare che l'austerità produrrà nel breve una contrazione della crescita economica: l'economista italiano spiega come le nostre economie potranno tornare a crescere solo quando si sarà ristabilita quella "fiducia" che, pur sfuggente da definire, sostiene la determinazione di chi investe e di chi produce. E questo avverrà prima se verranno messe in atto riforme strutturali. Se cioè il "modello sociale europeo" finirà dove dovrebbe stare: nel cassetto delle illusioni fallite del secolo XX.
Draghi ha chiarito che c'è una austerità cattiva, che è quella "facile" che fa perno sugli aumenti delle imposte per rimpolpare i bilanci pubblici, e c'è una austerità "buona", nella quale si va invece a ridurre la spesa pubblica per ridurre le tasse. La prima porta a una depressione della crescita potenziale: ma è elettoralmente "comoda", perché non scalfisce i "diritti" di quella parte della società che vive di spesa pubblica e che vota compattamente per chi la tutela. L'intervista dell'ex Governatore della Banca d'Italia era inequivoca e coraggiosa. "C'è stato un tempo in cui l'economista Dornbusch diceva che gli europei erano così ricchi da potersi permettersi di pagare chiunque per non lavorare. Quel tempo è finito".
Gli Stati UE si sono impegnati a rispettare più rigide regole di bilancio e a ridurre i propri debiti sovrani. Se, una tantum, questo patto fra Stati europei dovesse essere onorato, delle due l'una: siamo destinati a vivere in Paesi in cui tasse sempre più confiscatorie toglieranno a chiunque la voglia di intraprendere e di fare, o dobbiamo rassegnarci a un dimagrimento dello Stato sociale.
Questa alternativa non è stata presentata ai cittadini degli Stati dell'Europa occidentale (i "nuovi entrati" dell'Est hanno altri problemi) da nessun leader democraticamente eletto. Eppure, è qui che si gioca il nostro futuro. Ogni tanto, la verità è spinosa e "tranchant".
Erogando provvidenze lo Stato fa male alla società sotto almeno due punti di vista: l'alta spesa pubblica implica imposte elevate, che deprimono l'economia, ma nel contempo induce "dipendenza" nei beneficiari. L'appetito vien mangiando e aumentano i beneficiari potenziali, che domandano "protezione" e votano per chi gliela promette. Questo ingranaggio funziona finché l'economia privata continua a crescere e ne sopporta al peso: ma è nelle cose che si raggiunga un punto di rottura.
Oggi è accaduto esattamente questo: il peso del debito pubblico ci ha spezzato la schiena. Il modello sociale europeo non può reggere. Questo non significa che non bisogna cercare altri mezzi per realizzare alcuni dei fini del vecchio Stato sociale: ma bisogna, appunto, avere il coraggio di mettersi in viaggio e smetterla di aggrapparsi ai resti di un passato destinato a passare. Agli europei dovrebbero spiegarlo leader politici che non hanno paura di guidare anziché seguire la formazione del consenso. Siccome non ci sono, meno male che almeno c'è Draghi.
Alberto Mingardi
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