Anche senza il senno di poi, non era difficile prevedere che si sarebbe arrivati a questo punto. Lì, ma domani potrebbe accadere altrove, in ognuno dei cento e cento siti italiani dove le popolazioni locali si oppongono alle opere, sia che si tratti di centrali energetiche - il nucleare è stato "spento" dal referendum - piuttosto che di discariche, termovalorizzatori, strade, porti, altri trafori.
L'Italia di cui Monti vuole cambiare il passo e le abitudini, è in particolare questa. Non quella delle proteste, ma delle opere più o meno grandi, incompiute e bloccate.
Da anni «Striscia la notizia» o i vari «Report» o ancora i quotidiani mostrano immagini di complessi mai terminati, ospedali abbandonati a sé stessi, strade che finiscono nel nulla, siti che sono diventati nel frattempo vere bombe ambientali. Alle spalle di ciascuna di queste opere, storie di una malapolitica che ha preso i soldi e se l'è data alle gambe, che si è impantanata in decisioni astruse e incomprensibili, di una burocrazia che finisce per divorare sé stessa. A spese nostre, naturalmente.
In questo caso le proteste sono "post", di chi aspetta queste opere. Poi c'è il popolo del «Nimby» (Not in my backyard) ovvero «non nel mio cortile», in cui potrebbero rientrare anche i no Tav. Di chi dice no alle realizzazioni vicino a dove risiede. Per paura, nella gran parte dei casi, per il timore delle ricadute ambientali. Vere o presunte. Con qualche discrasia nelle linee di lotta: ad esempio ci si è schierati contro le centrali nucleari, ma sul Delta del Po gli ambientalisti hanno combattuto uno dei due rigassificatori che, dopo lunghi travagli, sono entrati in funzione in Italia (gli altri sono bloccati o in ritardo), quei rigassificatori che sono proprio una delle alternative "pulite" all'energia nucleare, "sporca" anche prima di Fukushima. Da non dimenticare, particolare non da poco, che proprio nel Delta a sostenere il rigassificatore erano una parte della popolazione e dei sindacati in nome dei posti di lavoro.
Un guazzabuglio, quindi, nel quale ora si è innestato il dramma umano che rischia di essere l'innesco giusto per far esplodere le tensioni figlie della crisi. Il dato certo è che in Italia, tra proteste, burocrati, tangenti e politici incapaci, negli ultimi 12 anni il costo di quanto non è stato fatto nel solo settore energetico, è di 21 miliardi di euro. A fine 2009 gli impianti a energie rinnovabili - in genere a biomasse - bloccati dalle proteste erano 67. Nel 2008 le proteste censite sono state 264, il 46,2% delle quali sul tema dello smaltimento dei rifiuti e il 44,3 sull'energia. In Val di Susa siamo quasi a 23 anni di scontri, ricorsi e liti, la pedemontana lombarda aspetta da una trentina d'anni, gli svizzeri hanno bucato il Gottardo per aprire una via con il Nord Europa ma di qua della frontiera gli impegni sulla carta sono molti, quelli effettivi molti di meno.
Questo è il vero dramma nazionale. Ma non se ne parla, così il fumo dei lacrimogeni nasconde anche il vero dibattito che sarebbe necessario, a Chiomonte e altrove: se queste opere servono (la Torino-Lione secondo molti, autorevoli, economisti e tecnici è uno spreco ed è quasi inutile), se si spende bene oppure no, se i costi sono proporzionati, se e quali ostacoli rimuovere. Meno sassi, anzi niente sassi, e più parole, dialogo dunque: ecco cosa serve da Chiomonte verso Roma. E anche nel senso opposto.Perché poi anche l'Italia diventi moderna, efficiente, equilibrata e anche più "verde". Magari risparmiando qualcosa.
Umberto Montin
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