Berlusconi passa da deliri di grosse koalition assieme a coloro che fino a ieri erano trinariciuti comunisti o ingrati traditori, all'idea di cambiare nome al Pdl. Il Pd ancora deve capire cosa diavolo è (e le mire del premier sulla riforma del lavoro certo non lo aiutano). La Lega tra l'orgoglio delle mani libere e la sindrome dell'isolamento si avvia verso una lunga traversata nel deserto che culminerà nella fine dell'egemonia di Bossi, l'unica che il movimento abbia mai avuto. Il terzo polo è a forte rischio implosione se non arriverà una legge elettorale tale da rimetterlo in circolo.
Monti è ben consapevole della debolezza e della crisi del sistema politico. Del resto, per raccontare i fatti della politica italiana negli ultimi vent'anni, ci vorrebbe la scienza di Giambattista Vico. La crisi dei partiti viaggia assieme a quella dell'economia e in parte è provocata da quest'ultima. Imprenditori e finanza mollano il sistema che avevano sostenuto fino al giorno prima e tentano la supplenza attraverso i governi tecnici con la regia del Quirinale. Giustizialismo di Tangentopoli a parte (ma le Procure continuano ad avere il loro ruolo: pensate che la sentenza al processo Mills sarebbe stata la stessa con il Cav a palazzo Chigi?), la situazione non è dissimile a vent'anni fa.
Il presidente del Consiglio, per parafrasare un vecchio Carosello di Virna Lisi, con quello spread ormai sotto quota 300, può dire quello che vuole. Anche che se ne andrà presto per vagheggiare incarichi accademici da Cincinnato. Intanto, nella sua vorticosa attività, infila frasette dal significato ambiguo come quella dell'altro ieri: «Se completeremo le cose da fare non vi sarà un altro mandato», ha detto il signore in loden. Eh già, ma chi stabilisce quali sono le cose che il governo deve fare? Lui ovviamente. Intanto ogni giorno la lista delle cose si accorcia da una parte e si allunga dall'altra. Perché il premier e i suoi ministri aggiungono carne al fuoco che prende il posto di quella già cucinata. L'ultimo pezzo è un quarto di bue: una riforma istituzionale che prevede l'abbassamento dell'età per essere eletti in Parlamento, competenze differenziate per Camera e Senato (con quest'ultimo destinato a "federalizzarsi"), introduzione della sfiducia costruttiva (un governo non può essere spodestato se non ve n'è un altro pronto), poteri di nomina e revoca dei ministri parte del presidente del Consiglio (che così diventerebbe premier non solo di nome) e norme anti ribaltone.
Tutto quanto i partiti tentano di fare da circa trent'anni senza riuscire a portarne a casa uno di questi punti.
Monti insomma fa capire di voler essere il traghettatore dalla Seconda alla Terza Repubblica. Un ruolo che nella precedente traversata istituzionale fu ricoperto da Carlo Azeglio Ciampi, un altro tecnico prestato alla politica e mai restituito, tant'è che ha concluso il suo cursus honorum al Quirinale. Allora per capire cosa succederà domani basta davvero andare a rileggersi Giambattista Vico.
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