Potrebbe capitare a chiunque come è capitato a Gaetano, un uomo di Inverigo, di andare in città a trovare una coppia di amici e, aspettando il loro ritorno dal lavoro, di approfittare per fare quattro passi in queste belle giornate di primavera anticipata, tanto più che la via in cui vivono sbuca sui campi. Non ci si aspetterebbe di trovare "il branco", senza difesa ed essere dilaniati fino alla morte, nonostante l'intervento di un automobilista e di un uomo che stava lavorando il suo pezzo di terra e si è accorto di quello che stava succedendo, accorrendo per scacciare i cani affamati e inferociti.
In questa storia è inutile prendersela con i cani: loro sono animali allo stato brado, che si riuniscono per sfidare quell'abbandono che probabilmente hanno subito. E hanno iniziato ad imparare le regole del branco, nella loro solitudine, con nessuno che si occupa di loro, lasciati così come fantasmi pericolosi in una metropoli che si scopre sempre meno sicura, sempre più irta di insidie, di possibili tragedie, come quella che si è consumata in quella che per anni è stata definita la capitale "morale" d'Italia.
Ora quella moralità, da anni, non fa più parte dei valori della civilissima Milano, città della solitudine, dove ci si sente senza ripari, senza protezione.
E questa è la storia emblematica che ci racconta, con evidenza e violenza, quanto tutto sia lasciato a se stesso, quanto attraversare le strade della città possa apparire pericoloso come in una giungla.
C'è la solitudine di Gaetano, la cui morte viene attribuita, non solo alle ferite inferte dai cani randagi, ma anche al terrore che l'aggressione e l'impossibilità di difendersi ha provocato in lui. Si è sentito solo, anche lui abbandonato, in balia di un "male" contro il quale non aveva armi e nemmeno possibilità di difendersi. C'è la solitudine straziata dei cani che vagano tra i campi da anni: nessuno si è mai preoccupato di loro, nessuno se ne è voluto prendere cura. E loro hanno potuto colpire, mettere a terra, sanguinante, in fin di vita l'uomo che si era voluto regalare un pomeriggio di convivialità con gli amici.
E' una morte ingiusta, questa che si è consumata in un pomeriggio di inizio marzo, una morte triste e vergognosa che mette in luce l'inclemenza di una città che non riesce più a proteggere e a far sentire sicuri, una città che mostra i segni delle crepe del suo senso della moralità. I cani lasciati liberi, allo sbando; l'uomo indifeso che incontra la ferocia dietro l'angolo: sono i segni evidenti dei cedimenti strutturali di una moralità che ha svuotato il suo senso, nel momento in cui non si prende più cura né degli uomini, né degli animali. Non sarebbe giusto generalizzare, ma questa morte assurda mostra e ingigantisce la vergogna di una città e di una società che sta andando verso la barbarie. I cani sciolti e senza freni, pronti a colpire, nella loro immagine inquietante, dicono di più rispetto al solo caso di cronaca: avvertono che qualcosa si sta irrimediabilmente guastando per colpa di un'incuria generalizzata che può diventare pericolossima, anzi assurdamente tragica, come questa aggressione dimostra, richiamando ad una sfida: quella del rispetto del cittadino, affinché non si muoia più, all'inizio del secondo millennio, con il terrore negli occhi.
Fulvio Panzeri
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