Ora che la situazione è chiarita e si sono riposizionati i rapporti di forza, bisogna capire se questa svolta potrà portare qualcosa di buono per la città, che è poi l'unica cosa che conti. E qui c'è da essere preoccupati. La condizione balcanica del PdL è destinata a prolungarsi lungo tutta la campagna elettorale e anche all'interno del prossimo consiglio, anche perché è impensabile che l'anima vincente del partito non faccia pagare un prezzo altissimo a Gaddi, reo, a suo avviso, di aver contestato il PdL dopo essere stato per anni uno dei volti più esposti della maggioranza di Palazzo Cernezzi. Per l'assessore alla Cultura (ma anche al Bilancio) si prepara una traversata del deserto durissima, senza sconti e probabilmente solitaria: Gaddi però è ancora giovane, ambizioso e avrà modo di riflettere sugli errori commessi o su qualche compagno di viaggio imbarazzante per riprendere così un proprio cammino politico. Magari anche fuori dalla sua formazione attuale.
Laura Bordoli ha vinto bene, da volto nuovo e - basta averci parlato di persona - senz'altro pulito. Per lei, però, i prossimi mesi saranno paradossalmente ancora più duri di quelli di Gaddi perché è davvero difficile credere che potrà impostare una campagna elettorale fuori dai canoni prestabiliti e soprattutto, in caso di vittoria a maggio, sarà in grado di scegliere in piena autonomia la sua squadra di governo. Il partito non le concederà questo privilegio: in quel momento capiremo se abbiamo a che fare con un mero, per quanto inedito e presentabile, funzionario o con un sindaco che fa saltare i legacci delle conventicole e degli affari per andare dritto filato alla soluzione dei veri problemi della città.
Non che dall'altra parte ci sia chissaché: la Lega si è infilata con grande convinzione, ma senza alcuna fantasia, nel canovaccio dettato dalla linea della segreteria secondo la quale si torna duri e puri e ci si rifà una verginità dopo lustri e lustri di governo di coalizione con il PdL e si spara a zero sugli ex alleati e sul governo tecnico e su chi taglia le pensioni e su chi tocca le municipalizzate eccetera eccetera eccetera. Tutto logico, per carità, ma onestamente non sembra un granché per chi ha partecipato, in giunta, al sacco del lungolago e della Ticosa.
E per quanto riguarda il centrosinistra, beh, è il solito centrosinistra di quando lo spirito dei tempi sembra spingerlo verso il trionfo. Le primarie, come al solito, le ha vinte un candidato non indicato da tutto il Pd (il cui simbolo, infatti, è sparito dai suoi manifesti elettorali). E questo è un buon segno, visto com'è andata a finire tutte le volte che ha prevalso l'outsider rispetto ai diktat della segreteria. Ma anche qui si presenta altissimo il rischio di deriva correntizia e di annodamento tra i mille tic e birignao che costituiscono - culturalmente, anzi, geneticamente - il male della sinistra italiana. Con lo scenario tutt'altro che lunare di un'eventuale giunta Lucini immobilizzata tra ordini del giorno a favore dei No Tav, appelli per il ritiro immediato dall'Afghanistan o grandi evoluzioni sintattiche sulle criticità del concetto di accoglienza nelle società post-industriali mentre il resto della città continua beatamente ad andare a fondo. Le liste civiche propongono diverse personalità di indubbio interesse, un paio di fenomeni da baraccone e alcune frattaglie del tutto irrilevanti: vedremo come si riposizioneranno in un eventuale secondo turno.
Manca, tocca ridirlo, il vero protagonista tanto atteso e mai sceso in campo: uno spirito civico diffuso, pragmatico e non velleitario che avrebbe dovuto convergere nella scelta di un grande nome, notissimo, stimato, colto, competente e moralmente inattaccabile. Un vero comasco doc capace di rendere credibile una politica al di là della solita politica. Ma di questo fantomatico personaggio si è vista solo a tratti l'ombra che poi, a un certo punto - timidezza? cinismo? ignavia? - è sparita, come uno spettro al canto del gallo.
Diego Minonzio
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