Ma la questione la si può guardare da un altro angolo, lasciando stare quello politico che dentro le scuole, non sempre ma molto spesso, non entra. Ci sono tanti buoni insegnanti che da decenni si sgolano spiegando la storia d'Italia, e che non hanno aspettato i 150 anni dell'Unità per ricordarsi di fare lezione di storia, geografia e folclore dell'Italia. I bambini lo sanno e spesso stanno dalla loro parte, anche gli stranieri. Imparare l'inno d'Italia, cantarlo, può essere un modo per rendersi conto di dove si vive, non per farsi indottrinare. Indottrinare su che cosa poi? L'inno a scuola, almeno quando si entra davvero nelle scuole a vedere cosa succede, è qualcosa di molto più facile e gioioso di quanto pensino i politici, che forse in classe ci vanno poco. Da decine di anni, per fortuna, nessuno fa scattare in piedi i bambini bacchettando i loro sederotti se non eseguono gli ordini. L'inno e altre canzoni che raccontano l'Italia (ce n'è una divertentissima che parla di un treno che fa la spola da sud a nord e ad ogni stazione fa salire le regioni con una valigia di cose nuove che arricchiscono i passeggeri) possono anche essere "solo" storia del Paese in cui si vive, solo "cultura", solo conoscenza di qualcosa che fino a un giorno prima non si sapeva.
E certo che non sarà mica solo facendo imparare e cantare l'inno di Mameli che si potrà creare il patriottismo o l'amore di patria. "Fratelli d'Italia" non è una magia, magari lo fosse! È una delle tante cose interessanti che si possono, e si dovrebbero imparare a scuola, per il "solo" gusto di conoscerle e di sapere che viviamo su una penisola che ha una certa forma e non un'altra, che è nata in un modo e non un altro. Mentre ieri i politici litigavano, i bambini e i ragazzi sui loro blog dicevano la loro sull'inno a scuola, e non da ieri per essere sinceri. Intervenivano sul tema anche gli alunni stranieri.
«Io mi sento italiano a scuola, quando le maestre parlano della storia dell'Italia e studiamo tante materie; e poi sono contento di essere stato adottato da genitori italiani perché prima stavo in Russia, ma adesso la mia bandiera è il tricolore verde, bianco e rosso. Qui tutti hanno diritti e li rispettano» ha scritto uno di loro a proposito di una discussione aperta in classe sull'inno e l'italianità. Certo, nella sua ingenuità, il bambino forse esagera un po' in ottimismo, ma si sente italiano. Come i ragazzi intervistati nell'interessante documentario "18 ius soli" andato in onda lunedì sul canale satellitare Babel tv. Questi sono italiani, di seconda o terza generazione, parlano trevigiano o bolognese stretto, ma tremano all'idea di compiere 18 anni. Da quel momento non avranno la cittadinanza italiana e potranno essere rispediti in un Paese d'origine che per loro non lo è più. «Sono nato in Italia, mi sento italiano, ma potrei essere rimandato in Nigeria. E a far che cosa? I miei parenti e amici sono tutti in Italia, qui sono uno studente, là sarei un barbone».
Sui loro blog, i ragazzi hanno anche già pubblicato sondaggi, «Ti sembra giusto o no introdurre l'inno di Mameli a scuola?». Sarà interessante andare a vedere i risultati, perché sono i ragazzi e i bambini che ci devono rispondere e spiegare; loro fanno i conti con un'Italia diversa da quella del 1861, del 1920, del 1940, ma anche del 1990. I più piccoli hanno ancora la curiosità di capire dove vivono e com'è la loro storia. Sbagliano? I più grandi hanno già messo on line il link all'esegesi fatta da Benigni all'inno di Mameli perché, scrivono, «lui l'ha spiegato bene». I giovani sono spicci, vogliono sapere poche cose e chiare. Poi hanno la testa, anche i bambini, per valutare, ce l'hanno più di quanto si creda. Sapranno e dovranno vivere in un'Italia nuova perché lo fanno già, anche arrabbiandosi con il compagno di banco arabo che dice: «Ah no, io con le femmine non lavoro». La bambina vicina a lui alza gli occhi al cielo e dice sbuffando: «Fa sempre così, non c'è verso di fargli cambiare idea perché da lui le femmine sono meno importanti dei maschi». Anche questa è cultura e tutti e due sbuffano, ma hanno imparato a convivere e a sentirsi parte di una classe e di un Paese che canta l'inno di Mameli.
Carla Colmegna
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