Così, in una domenica primaverile, accade che in Svizzera - appunto appena al di là del muro ideale - il 66,5% della popolazione metta una crocetta sul «no» nel referendum che, in sostanza, propone di portare le settimane di vacanza annuali, dalle attuali quattro a sei.
Da Varese, a Sondrio passando per Como, mai come in questi casi la frontiera sembra esistere sul serio. Alta, insuperabile, un Muro da far concorrenza a quello, purtroppo, reale che per decenni ha diviso le due Germanie.
La prima reazione è un sorriso: "i soliti svizzeri", capaci di dire di no a due settimane di ferie in più come, due anni fa, dissero di no a un'altra idea che in alcuni cantoni avrebbe portato a minori tasse.
Eppure quel " i soliti svizzeri" non si può abbinare a quell'espressione tra il rassegnato e il compatimento con cui il generale De Gaulle bollava le nostre prese di posizioni: «Ah, les italiens...!».
Non sono pazzi e tanto meno incapaci i nostri vicini. Hanno una diversa concezione dello Stato, sono consci che la loro economia poggia molto sui soldi degli altri e su traffici non sempre benedetti dal resto della comunità nazionale, ma non sono stupidi. La proposta aveva una forte vena populista, anche se poggiava sull'assunto - sostenuto da sindacati, verdi e socialisti - che con 15 giorni di ferie in più si sarebbero liberati posti, seppure a tempo, e sarebbero cresciuti i consumi interni. Un po' la ricetta che, con risultati controversi, era alla base della legge sulle 35 ore passata il primo gennaio 2000 in Francia e ora di fatto depotenziata (ma non abolita) da Sarkozy.
Eppure dalle città più moderne come Zurigo o Losanna fino ai paesi sperduti nelle valli dell'Appenzello, la stragrande maggioranza ha detto no, perché in tempi di crisi - e anche la Svizzera nonostante il franco forte non è indenne - due settimane a casa in più avrebbero pesato e non poco sui bilanci delle imprese, le più piccole in particolare. Con le conseguenze che si possono immaginare facilmente in un Paese che, oltretutto, un articolo 18 non lo ha mai né approvato ma neppure pensato.
Colpisce questo "gran rifiuto", perché cade mentre da questa parte del solito Muro virtuale si discute di come rendere più flessibile l'occupazione, dare un futuro e qualche certezza in più all'esercito dei precari, garanzie di guadagno a chi il posto fisso ce l'ha e, in compenso, costruire un sistema di tutele quando il lavoro non c'è più e porre le basi per trovarne un altro al più presto. Un altro pianeta, quindi, due mondi che pur stando vicini e con scambi, anche umani, intensi, leggono la crisi mondiale e la globalizzazione secondo alfabeti diversi.
Di certo i cittadini elvetici hanno mostrato ancora una volta una maturità da invidia: il richiamo era senza dubbio accattivante, affascinante se vogliamo. La realtà però è più dura. Anche se ad essere sinceri, la sensazione è che oggi - al tempo del governo dei tecnici - un referendum simile potrebbe avere in Italia un esito uguale. Forse anche nel nostro Paese non tutto è perduto.
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