Le innumerevoli discussioni degli ultimi mesi sull'articolo 18 stanno per giungere a termine, dato che nei prossimi giorni si dovrebbe giungere a un accordo tra governo e sindacati. Purtroppo è già chiaro che sarà un'intesa che non solo rinvierà addirittura al 2017 l'entrata in vigore di una parte delle nuove norme, ma soprattutto offre ben pochi spazi alle imprese e non mette in discussione il potere delle organizzazioni sindacali. La soluzione verso cui ci si dirige è all'incirca la seguente. Il reintegro obbligatorio resterebbe solo per i licenziamenti discriminatori, mentre per quelli disciplinari la decisione spetterebbe al giudice. Difficile che le aziende possano apprezzare tutto ciò, dato anche l'alto grado di ideologizzazione della magistratura italiana e soprattutto dei giudici che si occupano di diritto del lavoro. Volendo a tutti i costi trovare un accordo, si è finito per annacquare più il progetto originario.
Nel documento sui contratti inviato alle forze sindacali dal ministero del Lavoro c'è un passaggio che sintetizza le ambiguità della posizione governativa, dove ci si propone di "rendere più dinamico il mercato del lavoro (...) contrastando al contempo il fenomeno della precarizzazione". Quello che ci si rifiuta di accettare è che la propensione delle imprese ad assumere e la disponibilità dei capitali esteri a investire da noi sono correlate a un'evoluzione in senso liberale del lavoro, che superi il posto fisso e faccia corrispondere il sistema produttivo alla volubilità delle nostre scelte. Se rispetto a vent'anni fa oggi spendiamo molto più in prodotti tecnologici e meno in biglietti del cinema, bisogna che chi lavora si sposti da un settore all'altro.
Se purtroppo l'immobilismo è destinato a prevalere la causa è di blocchi ideologici e interessi organizzati che rigettano come "antistorico" ogni ritorno all'autonomia negoziale delle parti e soprattutto non vogliono mettere in discussione il potere che gli apparati sindacali (dei lavoratori e delle imprese) hanno acquisito. La cosa non può sorprendere, perché se non è stato possibile vincere la resistenza dei tassisti, figuriamoci se c'era modo di governare senza il sostegno della Cgil o della Confindustria.
Ultimo punto. Si parla da più parti della possibilità che si introduca un nuovo "contributo di licenziamento" che ogni azienda dovrebbe versare all'Inps e che consisterebbe in mezza mensilità ogni 12 mensilità di anzianità aziendale negli ultimi tre anni. Di fatto, si rischia che invece che avere qualche spazio di libertà contrattuale in più si finisca per avere un altro prelievo para-fiscale. Sarebbe davvero molto grave.
Carlo Lottieri
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