Non serve, ma è comprensibile la rabbia di chi deve pagare con puntualità imposte, tasse, multe e balzelli e che invece quando deve incassare un credito dalla pubblica amministrazione è costretto ad aspettare.
Aspetta e spera, verrebbe da esclamare. Qualche imprenditore non ha avuto la forza né di aspettare né di sperare e massacrato dai debiti, che non potevano essere compensati da crediti mai incassati, ha deciso di farla finita. La nera contabilità dice che, dall'inizio della crisi, sono una quarantina gli imprenditori (soprattutto nel nord-est) che si sono suicidati per il fallimento dell'azienda. E di un progetto di vita costruito sul lavoro, la famiglia, i dipendenti che sono anche gli amici.
Ma senza arrivare alla tragedia, sono numerose le imprese fallite a causa di ritardati pagamenti della pubblica amministrazione. Che non accetta neanche compensazioni: non si può bilanciare un credito "pubblico" con l'importo dovuto al fisco. Cittadini e imprese devono pagare sempre con puntualità, lo Stato se la prende comoda.
Sempre più comoda. Negli ultimi due anni, la pubblica amministrazione ha allungato di 52 giorni i tempi dei pagamenti ai fornitori, con un ritardo medio sui termini contrattuali di tre mesi. Oggi, in media, lo Stato paga a 180 giorni. In Francia, la fatture vengono saldate a 64 giorni, nel Regno Unito a 47, in Germania a 35. Sono numeri che portano ad una constatazione amara: in Italia i cittadini e i piccoli imprenditori onesti sono degli eroi, vessati da uno Stato che pretende le tasse più alte d'Europa (la pressione fiscale ufficiale è al 45%, quella reale supera il 54%). E che in cambio restituisce servizi da terzo mondo senza alcun rispetto per gli impegni presi, quasi tronfio nella sua impunità. Ma è anche così che giorno dopo giorno si minano le basi della convivenza civile e del rispetto per il bene pubblico. E in definitiva per la nostra democrazia che già non gode di buona salute. Ma non allarghiamoci troppo. Torniamo ai rapporti economici tra la pubblica amministrazione e i privati. Secondo le stime della Cgia di Mestre, le imprese vantano nei confronti della pubblica amministrazione crediti tra i 60 ed i 70 miliardi di euro. Dai grandi numeri si può passare a quelli di tante piccole imprese dell'edilizia che hanno riasfaltato strade, rifatto marciapiedi, sistemato buche e tombini, e che, consegnati i lavori ai committenti (Province e Comuni), non riescono a farsi pagare. C'è il patto di stabilità che gli enti locali devono rispettare e che blocca pagamenti e cantieri, anche delle amministrazioni virtuose, di quelle cioè che vantano avanzi di bilancio. Soldi che non possono essere spesi. Così tanti fornitori vanno in sofferenza e il settore dell'edilizia, che in passato traeva quasi un terzo del fatturato complessivo dai piccoli appalti degli enti locali, si trova stretto tra la crisi del mercato della casa e il blocco degli appalti e dei pagamenti del pubblico. Risultato: le imprese saltano, i disoccupati aumentano. E la crisi si avvita. In più occasioni, gli enti locali hanno chiesto al Governo di allentare il patto di stabilità. Ma senza alcun esito perché il profondo rosso del debito pubblico non ammette deroghe neanche per salvare tanti piccoli imprenditori. Le loro aziende, il loro progetto di vita.
Gianluca Morassi
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