Quando ci sono di mezzo posti di lavoro, 350 in questo caso, fondamentale non abbandonarsi alla facile demagogia. Non parliamo di numeri, parliamo di persone, di famiglie. Detto questo, troppo facile dire che l'epilogo della storia gloriosa dell'ex area Falck, a meno di clamorosi colpi di scena, era probabilmente già scritto da tempo.
Altrettanto facile sostenere che nel frattempo in tanti hanno approfittato per anni della sicurezza dell'assegno della cassa integrazione per ripensare ad una nuova collocazione, approfittando, magari, del boom che sta vivendo l'area industriale di Colico. Con i 250 milioni di ammortizzatori spesi in tutti questi anni a Dongo, forse si sarebbe potuto finanziare qualche serio piano di rilancio. Ora si tenta di rimediare, in extremis, con il progetto di un impianto di cogenerazione pagato con i fondi Ue.
Così come difficile scacciare il retro pensiero che sulla sterminata area industriale con accesso a lago dove si è scritto un capitolo importante della vita economica comasca, qualcuno forse ha fatto qualche progetto alternativo.
La realtà è che in questa vicenda le colpe sono di tanti. Al di là del giudizio sulle scelte imprenditoriali (lavorare oggi con il settore automoblistico non è facile e certo presuppone una solidità finanziaria non indifferente), il caso dell'ex Falck rappresenta bene il fallimento del territorio a lavorare per dare alternative di lavoro concrete alla crisi di pezzi del manifatturiero ormai maturo.
Negli ultimi quattro anni, da quando è iniziata questa crisi mondiale che sta intaccando profondamente il tessuto produttivo comasco, la politica, le istituzioni pubbliche, le associazioni, i sindacati non sono ancora riusciti a presentare un disegno chiaro e condiviso di nuovo modello di sviluppo.
Meno fabbriche e più terziario? Meno telai e più alberghi? Finora discorsi da salotti dell'economia, di tavolate infinite con molte chiacchiere, di facili promesse di politici alla ricerca di un applauso immediato o di un titolo sul giornale . Che fine hanno fatto le task force di esperti da affiancare agli amministratori locali di Olgiate e Dongo (le due zone dove c'è allarme rosso sul fronte del lavoro) annunciate con enfasi al tavolo della competitività lo scorso 9 gennaio? E l'idea di creare zone a "zero burocrazia" per facilitare l'insediamento di nuove imprese?
Che un'azienda chiude perché non riesce più a restare sul mercato può essere doloroso, ma naturale. Il fatto che finora l'unica alternativa per chi perde il posto di lavoro in troppi casi sia stata la provvidenza della cassa integrazione reiterata per anni nella speranza della finestra per la pensione è consolazione da poco. Lo è ancora di più oggi alla vigilia di una riforma del mercato del lavoro epocale che metterà pesantemente in discussione l'impianto degli ammortizzatori sociali che ci ha permesso di gestire senza traumi eccessivi l'impatto della crisi. Il rischio è alto se dalle parole non si passa in fretta ai fatti.
Elvira Conca
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