Non sono stati sassolini, ma veri e propri sassi quelli che il presidente del Consiglio Mario Monti, con severa e lieve bonomia, si è tolto sabato dalle scarpe davanti alla platea dei commercianti riuniti a Cernobbio. Fra mura quasi "casalinghe, ne ha avute per tutti: per le categorie e la loro attività di lobbing incestuosa con la politica, per i partiti e governi del passato per ciò che non hanno detto e fatto, per i sindacati e loro scelte tra il corporativo e il conservativo.
Ha parlato chiaro: la crisi, negata per anni, continua, ci siamo in mezzo e non nelle condizioni migliori. Non ha fatto promesse, ma ha assicurato che davanti a noi abbiamo anni di sacrifici. Detto questo, ha ribadito la cifra del suo fare, del suo essere governo tecnico: cari partiti, mi avete chiamato - è stato il senso del suo intervento forse mai così schietto - per salvarvi, per salvare il Paese, io e i miei professori lo stiamo facendo, lo faremo per restituirvi un Paese più moderno e in grado di competere in Europa e nel mondo.
Un giorno i libri di storia politica non mancheranno di ricordare il "discorso di Cernobbio" perché può rappresentare il punto di svolta verso la Terza Repubblica, l’occasione in cui Mario Monti si è posto in una zona alta e "altra" rispetto alla dialettica politica di questi giorni. Ha espresso la misura della missione estrema affidatagli da Napolitano e acconsentita dai partiti squassati dalla crisi internazionale e interna, ma ha posto sul tappeto un’ipoteca rispetto alla quale proprio le forze politiche non potranno dichiararsi estranee: è l’ipoteca del cambiamento vero e reale, della svolta epocale che poteva essere dopo il ’92 e che, a carissimo prezzo, abbiamo prorogato fino ad ora. Allora fu la pratica consociativa e dissipativa a traballare, oggi sono i residui di ciò che per interesse e paura si volle perpetuare a non trovare più spazio in un mondo globalizzato e che corre ai ritmi delle nuove potenze economiche emergenti, in Asia come in Sudamerica. I partiti, finti nuovi o sopravvissuti, avvertono che la gente non li riconosce più.
Ecco la sfida di Monti lanciata da Cernobbio: io posso, si legge nelle sue parole, tentare di operare, ma anche voi dovete cambiare seguendo il moto che cercherò d’imprimere al Paese per sincronizzarlo con Occidente e Oriente.
Il presidente del Consiglio lo ha ricordato, sottolineando quanto fatto in meno di cinque mesi: la grande manovra Salva-Italia, la riforma delle pensioni, le liberalizzazioni, la semplificazione e ora la riforma del Lavoro, per stare sui provvedimenti strutturali. Il suo è stato uno strappo con il passato, della Prima e Seconda Repubblica, strappo di contenuti e metodo ribadito nel varo della riforma sul mercato del lavoro: si discute con tutti, si ascolta tutti, poi il governo decide. Se le Camere - ma anche le lobby - non sono d’accordo, al di là di miglioramenti o ritocchi che non cambino le filosofie dei provvedimenti, si va tutti a casa.
Monti ha gettato sul tavolo questa opzione totalizzante. E tutti, volenti o nolenti ne sono rimasti appesi. Per disperazione più che per scelta. Perché la crisi c’è, la gente si sta impoverendo giorno dopo giorno, è delusa, stufa e indecisa e nessuno, tranne appunto Monti, produce uno straccio di ricetta credibile. Anzi, prendendo a pretesto la riforma Fornero, è ricominciato il balbettìo della polemica sterile coltivando l’illusione di frenare l’emorragia di consensi. Oggi "Super Mario", se volesse potrebbe fondare un suo partito, avrebbe subito, da solo dicono i sondaggi, il 24% dei consensi con Pd e Pdl sotto il 20. Ma non lo farà, non è nel profilo dell’uomo, né nelle sue aspirazioni.
Però oggi c’è lui e, dietro, il vuoto. Di proposte, come detto, ma anche di leader. Se ne facciano una ragione, ne approfittino i partiti per rifondarsi, con umiltà e anche crudeltà interna, aprano anch’essi ai giovani e al nuovo, facciano una legge elettorale efficiente. Quando "Super Mario" come Cincinnato si ritirerà, le forze politiche della Terza Repubblica saranno pronte a riprendere il governo. E avranno quella stima oggi smarrita.