Dura legge ma legge. Trecentocinquanta euro di multa a un ragazzo che gira in bici contromano e con il cellulare all’orecchio possono anche rappresentare una sanzione giusta, seppure in apparenza sproporzionata. Con i pochi euro occorrenti per l’acquisto di un auricolare la stangata sarebbe stata evitata.
Ma il singolare sistema adottato dalla polizia municipale comasca per fare cassa andrebbe contestualizzato.
E il contesto, senza giustificare in alcun modo, il comportamento scellerato del giovane ciclista, è quello di una città che ama poco le biciclette. Vero che la morfologia gioca la sua parte. Trovarsi circondati da colline fa bene al paesaggio, un po’ meno alla voglia di pedalare in salita. Eppure anche in convalle non mancherebbero spazi e occasioni per incentivare le alternative all’automobile o all’autobus. Per una città oppressa dal traffico e soffocata da un inquinamento che ci pone ogni anno fuorilegge rispetto ai dettami europei e che aspetta ancora la leggendaria metropolitana obiettivo di mandato del sindaco uscente, non sarebbe male invogliare i suoi abitanti a vincere la pigrizia, lasciare l’auto in garage e mettersi ai pedali. Ancor di più in tempi di crisi con la benzina destinata a raggiungere i due euro al litro con la carta sconto che non basta più.
Invece Como è tutt’altro che a misura di ciclista. I pochi tratti di strada riservati alle due ruote senza motore sono risibili e in zone assurde. Fino a qualche anno fa, addirittura, c’era una pista ciclabile che passava davanti al portone della Questura da cui escono le volanti. Un esempio emblematico del difficile rapporto tra la città e gli emuli di Contador.
A peggiorare le cose si è aggiunta la chiusura della passeggiata di Villa Olmo, una delle mete più gettonate dai ciclisti che ora sono costretti a deviare sulla trafficata via Borgo Vico.
Se quest’ultimo è un inconveniente temporaneo, il progetto per la (finora) presunta sistemazione del lungolago in tutte le sue varianti non ha mai ipotizzato la realizzazione di un percorso ciclabile. Pensare che, con poca spesa, si potrebbe tracciare una pista che, partendo dal fondo di viale Geno potrebbe sbucare a Cernobbio senza il rischio per i pedalatori di essere arrotati dalle auto. Beffa nelle beffa l’ipotesi per cui i molteplici marciapiede di larghezza esagerata presenti in città siano stati realizzati in questo modo per ottenere i finanziamenti destinati alle piste ciclabili.
È un bello spunto per i programmi dei tanti candidati sindaco alle elezioni di maggio. Nessuno di loro, peraltro, salvo smentite, ha finora accennato all’argomento. Così come ha fatto l’amministrazione uscente che ha ignorato la questione per tutti i cinque anni di mandato. A Como non esistono, come invece a Milano, punti per il bike sharing con l’eccezione dell’autosilo di via Auguadri che rischia però di confermare la regola se poi non si individuano appositi spazi per consentire il transito sicuro ai velocipedi.
Va bene sanzionare gli indisciplinati, anche con il massimo zelo. Ma almeno si utilizzino i fondi per evitare che molti ciclisti siano costretti a transitare sul marciapiede per non pregiudicare la propria incolumità. A Como per la bicicletta non c’è davvero bellezza.