Mario Monti prova a chiudere l’incidente con i partiti che lo sostengono in Parlamento e che si sono sentiti feriti dalla sua esternazione in Giappone sulla loro mancanza di consenso. Secondo il premier, il dibattito che si è innescato era del tutto «infondato». Monti sostiene di essere stato frainteso e che in realtà il suo discorso conteneva ampi riconoscimenti alle forze politiche che si sono dimostrate «vitali e capaci» di guardare agli interessi del paese.
Pace fatta? Apparentemente sì, almeno a giudicare dalle reazioni soddisfatte dei partiti: Bersani dà atto al premier di avere chiarito il suo pensiero e giudica «positiva» la sua precisazione e sostiene che tra i rapporti tra tecnici e politici serve «equilibrio» per riuscire a portare il paese fuori dalle secche; se invece si continua nella contrapposizione tra politici e tecnici, secondo il leader del Pd, può essere «pericoloso». Anche Casini riconosce a Monti di aver rimediato all’incidente: sono i partiti a sostenere il governo, dice il leader centrista, e non certo «lo spirito santo», mentre per Bocchino quelle di Monti sono «scuse».
In realtà, se si guarda sotto la superficie delle cose, i punti di attrito sono ancora lì: in primo luogo la riforma del lavoro, che continua a dividere.
Il premier, sostenuto dal pressing di Barroso che incita l’Italia a non fermarsi a metà del guado, continua infatti a premere perché la proposta del governo passi rapidamente al vaglio del Parlamento perché, argomenta, all’estero aspettano di vedere quale sarà l’esito della riforma prima di convincersi a investire in Italia. Bersani, invece, continua a insistere sulla necessità di cambiare le regole sui licenziamenti per motivi economici e prevede che il Parlamento alla fine correggerà il testo del governo e sceglierà il modello tedesco.
Monti non si nasconde le difficoltà. Ma spera di risolverle con l’arma della «persuasione», che sarà impiegata per superare le «incertezze» che ancora incombono sulla sorte della riforma del lavoro. In questo potrà dargli una mano Giorgio Napolitano, sul cui aiuto Monti sa di poter contare. Il capo dello Stato è tornato a battere sul tasto delle riforme che bisogna approvare per favorire la crescita, l’occupazione e lo sviluppo; con la raccomandazione di prestare la dovuta attenzione alle «situazioni socialmente critiche» e di non abbassare la guardia sull’evasione fiscale.
Ma non è solo il capitolo del lavoro ad agitare la strana maggioranza che sostiene Monti. Anche sulla giustizia, in particolare sulla sorte del ddl anticorruzione, i partiti di Alfano, Bersani e Casini non vanno d’accordo, come ha certificato il vertice con il ministro Severino che si è concluso con un «arrivederci» ad altri incontri ma con un sostanziale nulla di fatto sui temi più spinosi, con il ministro ad assicurare che il governo interverrà quanto prima sulla corruzione e Bersani e Cicchitto a litigare sulle cose da fare.