È l'ennesima conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che il vento dell'antipolitica soffia forte come mai in passato. In tutta Italia, certo. Ma anche qui, nel Profondo Nord. A Como si chiamerà anche Breva o Tivano, ma è pur sempre un vento. Che si somma, per altro, a un presente caratterizzato dalla disgraziatissima eredità della seconda amministrazione Bruni, con il suo carico assortito di muri e fuochi d'artificio finiti male.
Questa doppia chiave può essere di qualche utilità per leggere quanto sta accadendo nel capoluogo lariano. La bella dormiente per antonomasia è attraversata da un clima assolutamente nuovo. Di più, elettrico. Ieri a mezzogiorno, allo scadere del termine per la presentazione delle liste, Palazzo Cernezzi ha celebrato un record storico: mai, in passato, si è presentato un esercito altrettanto numeroso di aspiranti consiglieri (673, uno ogni cento elettori), mai tante liste (24), mai tanti candidati sindaco (16). Chi prova a guardare fuori dall'uscio, senza scomodare Berlusconi e i suoi sondaggi, si rende conto che Como non è un'eccezione: nella vicina Cantù sono in corsa 10 candidati sindaco, 22 liste e 474 aspiranti consiglieri (uno su 82 elettori).
I numeri, come insegnano i matematici, hanno sempre un significato. Basta saperli leggere. Torniamo a Como: ci sono 16 candidati sindaci, 24 liste, 673 persone che ci mettono la faccia. Cosa significa tutto questo? È il segno che qualcosa è cambiato: il proliferare di liste civiche non fa che confermare l'ulteriore distacco dei cittadini dai partiti tradizionali, ma testimonia anche un'inedita partecipazione diretta, in termini quantitativi e forse anche qualitativi. Voglia di democrazia dal basso, insomma. La stessa che negli anni '70 portò prima alla nascita dei consigli di quartiere e poi di circoscrizione, che - paradosso della storia - celebrano le esequie proprio il 6 maggio.
Mai, dopo il 1994, ci si è accostati al voto in una situazione tanto incerta. Dal Botta bis (era ancora la stagione di Forza Italia) al Bruni bis (Pdl) la partita è sempre stata un pro forma, con un verdetto già scritto in partenza e un unico brivido possibile: sbancare al primo turno o al ballottaggio. Una partitella tra il Milan e la primavera del Como.
Adesso è gara vera. Per la prima volta dal 1998 il centrodestra corre diviso: Pdl da una parte e Lega dall'altra (curiosamente il candidato sindaco dei lumbard è lo stesso, Alberto Mascetti). Una scelta dettata da Bossi, dopo la fine del governo Berlusconi e la presa di distanza da Monti, che da sola - sostengono i soliti profeti della politica comasca - avrebbe portato il Pdl diritto alle forche caudine del ballottaggio con il centrosinistra di Mario Lucini.
A complicare ulteriormente i giochi alla pidilellina Laura Bordoli ci si è messo lo strappo dell'ala liberal, che ha portato alla nascita di Forza Cambia Como. Una lista che evoca il 1994 e la matrice forzista, ma soprattutto il ticket tra due assessori acchiappavoti come Sergio Gaddi e Anna Veronelli. Quale appeal riusciranno a esercitare sugli elettori comaschi lo scopriremo solo il 7 di maggio, ma è certo che - pur restando favoriti per un posto al ballottaggio Lucini e la Bordoli - la sfida elettorale si annuncia tutto pepe. E l'interesse è garantito.
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