Nell'affrontare il singolare slalom tra le crepe, che si sono aperte nell'asfalto (ne dà conto Maria Castelli a pagina 23), e il proliferare di slogan elettorali, per l'avvicinarsi dell'appuntamento con la scelta del nuovo primo cittadino, è impossibile non balzi agli occhi il significato neppure troppo recondito di questa concomitanza.
I danni causati dallo sciagurato e infinito cantiere delle paratie, sempre più tela di Penelope della nostra città, sono la testimonianza fisica e dolorosa della distanza siderale che si è venuta a creare tra coloro che hanno retto le redini di Palazzo Cernezzi e i cittadini. Un vuoto riempito da un esercito di aspiranti amministratori nella più affollata corsa elettorale che memoria di comasco ricordi. E neppure questo può essere considerato un caso.
Quelle crepe, che secondo un geologo sono causate senz'ombra di dubbio dal cantiere del lungolago, sono l'eredità tangibile di dieci anni di giunta Bruni. Dieci anni in cui le vertiginose promesse pre-voto si sono letteralmente sgretolate. È vero: il simbolo dell'immobilismo della politica cittadina, ovvero la Ticosa, non c'è più. Eppure al suo posto non solo ora c'è una terra di nessuno forse ancor più avvilente dell'immagine del passato, ma quel simbolo è pure caduto in crisi: al suo posto ce n'è uno ancor più evocativo.
Non è un bel regalo quello che la prossima amministrazione si troverà a scartare. La questione paratie presenta infatti una serie di fastidiose controindicazioni. A puro titolo d'esempio: i costi per le casse del Comune, che lievitano ogni giorno di più; i tempi e le certezze sulla chiusura del cantiere; il complicato equilibrio tra lavori particolarmente invasivi e la città. L'errore più grande della nuova giunta sarebbe proseguire con la strategia Bruni: minimizzare gli inconvenienti, negare i problemi. Quando, mesi fa, pubblicammo le conclusioni dei periti della Procura che avevano sollevato non pochi appunti nei confronti del cantiere del lungolago, l'amministrazione ha risposto con una formale protesta contro la Procura per un'asserita fuga di notizie invece che analizzare il contenuto di quelle critiche. A cominciare dal passaggio in cui la perizia sottolinea come i lavori avrebbero «causato sicuramente dissesti di entità difficilmente prevedibile alle strutture interrate» degli edifici che si affacciano sul lungolago. Danni, in ogni caso, «deleteri per la loro stabilità».
Le crepe che si sono aperte da via Plinio a via Boldoni sono la conferma di quell'inascoltato grido d'allarme. Di fronte a politici sordi, a una città che mostra senza vergogna le proprie ferite, i comaschi hanno reagito nell'unico modo possibile: impegnandosi in prima persona. Con la speranza di potersi riappropriare di un Palazzo che da anni non sentono più loro. Un palazzo pieno di crepe.
Paolo Moretti
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