Ospitiamo un commento del fondatore e primo direttore del quotidiano "La Padania", oggi direttore del quotidiano online www.lindipendenza.com
La musica è finita, gli amici se ne vanno… Così recitava una celebre canzone di molti anni fa. Ebbene, poche ore fa Umberto Bossi ha finito di suonare la sua musica politica e il teatro che l'ha visto protagonista per quasi venticinque anni s'è svuotato, anche su un gruppetto di sostenitori capeggiati dal fido Giuseppe Leoni ha pateticamente intonato cori a suo favore, invitandolo a non "mollare". Ormai tutto era caduto e rimaneva da mollare solo la poltrona sulla quale è rimasto saldamente seduto dal 1991, quella di segretario federale della Lega Nord. Dopo gli eventi degli ultimi giorni e le intercettazioni che sono continuate anche nei minuti precedenti la riunione del Consiglio federale di ieri pomeriggio, per il Senatur non c'era più scampo. Poteva forse resistere da segretario, sebbene commissariato, ancora per qualche mese fino alla celebrazione del congresso che dovrà avviare il nuovo corso della Lega (una strada non facile da intraprendere, dopo le tonnellate di fango che ne hanno definitivamente cancellato la diversità rispetto al sistema classico dei partiti). Ma in un ultimo rigurgito di saggezza, il vecchio capo stanco, ammalato e con l'immagine molto ammaccata, ha deciso (o è stato indotto a decidere, poco importa) di gettare la spugna. Il Consiglio federale lo ha nominato Presidente, perché un tale protagonista, nel bene e nel male, della scena politica e padre padrone del Carroccio non può ritirarsi in riva al lago a giocare a carte dalla sera alla mattina.
La mossa decisa da Bossi è stata in qualche modo liberatoria: con un grande colpo di teatro il protagonista consumato di un quarto di secolo della storia politica italica ha, almeno nell'immediato, tolto la Lega da una posizione che si era fatta drammatica e quasi per incanto ha ristabilito il feeling emotivo fra il "condottiero" e la sua gente. Era un legame, quest'ultimo, che da tempo s'era come sfibrato, allentato, stancato. Bossi sembrava già "archiviato" per gran parte dei militanti, che nelle varie occasioni riservava gli entusiasmi di un tempo non a lui bensì a Roberto Maroni, ormai più avversario che amico.
Con le dimissioni di ieri, che in Consiglio federale sono state accompagnate da momenti di comprensibile commozione, Bossi è come se avesse d'incanto riportato le lancette del tempo ai momenti migliori. Bastava ascoltare gli interventi di ieri pomeriggio a Radio Padania per cogliere un sentimento generale di trasporto verso il grande capo che lascia e anche di orgoglio recuperato di essere leghisti. Ripeto, non capitava da tempo. Probabilmente questo momento non durerà a lungo, poi la Lega e tutta la sua gente dovranno reimmergersi nella dura realtà fatta di inchieste che stanno svelando, intercettazioni alla mano, usi e costumi che nessuno, nemmeno i più feroci critici della degenerazione leghista, si era immaginato fossero talmente decaduti. E dovranno essere ricostruiti i movimenti dei tanti milioni di euro che la Lega ha inglobato e che sembrano dispersi in mille direzioni, troppo spesso niente affatto regolari.
Umberto Bossi, va comunque detto, è finito stritolato, anzi tradito dai comportamenti della sua famiglia e delle persone che intorno a lui, dopo la malattia, aveva costituito una sorta di cordone sanitario noto al pubblico come "cerchio magico" e che io mi sono permesso di rinominare "cerchio magico/malefico", perché lì dentro ha avuto origine l'inizio della fine. Questa pseudo struttura di "difesa" del capo malato alla fine si è rivelata essere la zavorra che lo ha portato a fondo. E le responsabilità maggiori vanno probabilmente ricercate in casa, direttamente a Gemonio, con una moglie preoccupata solo ed esclusivamente che la Lega assicurasse un futuro brillante e ricco ai pargoli, al punto da pensare al movimento come alla Ditta Bossi&Figli, e con i figli cresciuti senza arte né parte, tanto la Ditta avrebbe provveduto al loro futuro.
Questo il vizio d'origine, che è andato via via degenerando oltre le attuali capacità di comprensione e di immaginazione dello stesso Bossi. Tendo ad escludere che il Senatur non sapesse nulla dei comportamenti maldestri ed arroganti di chi gli stava intorno, ma con tutta probabilità ne conosceva solo una piccola parte, perché qualcuno ha approfittato delle sue evidenti menomazioni per fare carne di porco della credibilità e della diversità della Lega, ad esclusivo proprio uso e consumo.
La dura realtà è che un uomo nelle condizioni di Bossi mai e poi mai avrebbe dovuto rimanere a capo di un partito che per così tanti anni ha svolto un ruolo cruciale sulla scena politica italiana. E anche se Roberto Maroni, durante lo storico Consiglio federale di ieri, rivolgendosi al capo dimissionario gli ha detto: «Se ti ricandidi a segretario, sarò il primo a sostenerti», personalmente penso che quella stagione sia definitivamente conclusa. E sarebbe un errore se lo stesso Senatur dovesse farsi attrarre da una tale prospettiva.
Ritagli per sé il ruolo di padre nobile del movimento, quello che gli è più consono in questo momento considerate le sue forze limitate, e consenta alla sua creatura di procedere alla fase di rigenerazione di cui ha assolutamente bisogno. A chi viene dopo di lui, e più che a un uomo solo mi riferisco a una nuova classe dirigente, tocca l'impegno di assolvere a questo difficile compito: se lo affronterà con decisione, facendo del partito una casa di vetro e con un progetto politico preciso, e per il quale sarà disposta a qualsiasi sacrificio, allora le possibilità di rilanciare la Lega ancora ci sono. Diversamente il Carroccio tramonterà tristemente. Anzi potremmo dire che è tramontato ieri.
Gianluca Marchi
© RIPRODUZIONE RISERVATA