Se il mercato del lavoro era ingessato prima (e questo aveva spinto Monti a porre la questione sul tappeto), ora lo è perfino di più. Come ha ben spiegato Giuliano Cazzola, se si voleva riformare il diritto del lavoro attraverso una negoziazione con i sindacati non si doveva assolutamente partire da un progetto governativo che riduceva la flessibilità in entrata e allargava quella in uscita. Il risultato, in effetti, è stato che la Cgil ha subito incassato la prima parte, puntando invece i piedi sulla seconda. Così oggi non abbiamo vere novità sul fatidico articolo 18 (la possibilità delle imprese di licenziare), mentre al contrario diventa ancor più difficile per le aziende individuare contratti che aiutino ad avviare nuovi rapporti di lavoro. A questo punto, bisogna dare ragione a chi - come l'economista Nicola Rossi - parla senza mezzi termini di «un compromesso politico e sindacale sulla pelle dei giovani precari».
Per giunta, i nuovi ammortizzatori sociali saranno finanziati non già con tagli di spesa (e in un bilancio di 800 miliardi di tagli possibili ce ne sarebbero moltissimi), ma invece - alle solite - con un incremento della pressione fiscale: a carico dei viaggiatori aerei (due euro in più ogni volo), di quanti affittano immobili e delle imprese che possiedono autoveicoli. Soprattutto, viene ostacolato il lavoro flessibile nell'illusione che l'unica alternativa a ciò siano posti di lavoro a tempo indeterminato e non già, come invece succederà, un numero ancora più alto di disoccupati.
Si ha la sensazione che politici, "tecnici" e sindacalisti non si rendano conto che molte imprese stanno morendo e che addirittura cresce il numero degli imprenditori che si suicidano. Invece che restituire più libertà d'azione e una piena autonomia negoziale alle parti, si è scelta la strada di un dirigismo che delinea solo talune specifiche forme contrattuali e intralcia la vita delle aziende quando, di necessità, devono ridurre gli organici. Non si è compreso, più in generale, che un'economia ingessata da norme e soffocata da altissimi prelievi contributivi non può crescere.
La disfatta del governo Monti, che dopo aver fallito le liberalizzazioni ora si è dimostrata incapace di riformare il mercato del lavoro, ha luogo proprio nelle ore che vedono uscire di scena Umberto Bossi e l'equivoco di un nordismo aggressivo a parole e inconcludente nei fatti. Se declina la Lega, non vengono meno però taluni richieste (meno tasse, meno burocrazia) che negli anni passati quel movimento aveva preteso di interpretare. La sconfitta dei tecnici e l'addio di Bossi aprono insomma uno spazio politico che qualcuno dovrà riempire, prima che il sistema produttivo settentrionale sprofondi nel nulla.
Carlo Lottieri
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